Che cosa è la causa di forza maggiore?

Il principio di “forza maggiore” non trova una definizione espressa nel nostro ordinamento che si limita all’art. 1467 del Codice Civile a fare riferimento a “fatti straordinari e imprevedibili”.

L’individuazione specifica di cosa sia la forza maggiore è dunque rimessa alla giurisprudenza. La causa di forza maggiore – qualificata come una causa di esonero da responsabilità in caso di inadempimento – consiste in un evento oggettivo, straordinario ed imprevedibile, di forza tale da rendere impossibile l’adempimento (e non semplicemente più oneroso) (tra le tante, Cass. nn. 15073/09, 9645/04, 2339/92, 8294/90, 5653/90 e 252/53).

  •      Che cosa è il factum principis?

Al pari della causa di forza maggiore, anch’esso si qualifica come causa di esonero da responsabilità, in quanto evento terzo che rende impossibile l’adempimento di un’obbligazione.

Tuttavia, il factum principis si differenzia dalla causa di forza maggiore per la natura dell’evento impeditivo: il factum principis è infatti l’ordine dell’autorità che rende impossibile l’esecuzione della prestazione.

  •      Che cosa è l’impossibilità sopravvenuta?

L’impossibilità sopravvenuta è una causa di estinzione dell’obbligazione diversa dall’adempimento. Essa si verifica in un momento successivo alla sottoscrizione del contratto e deriva da una causa avente natura esterna, di carattere imprevedibile e non prevenibile secondo la diligenza media.

L’impossibilità sopravvenuta può essere definitiva o temporanea, ovvero totale o parziale, con conseguenze che, come avremo modo di illustrare, variano a seconda dei casi.

  •      Quando l’impossibilità è parziale?

È possibile che una determinata prestazione diventi solo parzialmente impossibile, e che quindi vi sia una prestazione residua che può essere adempiuta.

In tal caso, la controparte ha diritto ad una riduzione della sua controprestazione oppure, qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale, può recedere dal contratto.

  •      Che differenza c’è tra impossibilità temporanea e definitiva?

Come suggeriscono i termini stessi, la differenza tra le due fattispecie risiede nel piano temporale, nonché nelle conseguenze che da esse derivano. Quando una prestazione diventa definitivamente impossibile allora l’obbligazione si estingue.

In caso di impossibilità temporanea, invece, l’obbligazione non si estingue; finché l’impossibilità temporanea perdura, il debitore non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Qualora l’impossibilità temporanea venga meno ed il creditore abbia ancora interesse a conseguirla, il debitore potrà adempiere, senza alcuna responsabilità a suo carico per il ritardo. L’obbligazione si estingue solo se l’impossibilità temporanea perdura fino a quando – in relazione al titolo o all’oggetto – il debitore non possa più essere ritenuto obbligato ad eseguirla, ovvero il creditore non abbia più interesse a conseguirla.

  •      Che cosa è l’eccessiva onerosità sopravvenuta?

Premessa fondamentale è che l’eccessiva onerosità sopravvenuta può riconoscersi solo nei casi di contratti ad esecuzione periodica o continuata ovvero ad esecuzione differita.

Nel presente caso, le prestazioni sono entrambe ancora possibili. Tuttavia, a causa di fattori esterni, imprevedibili e straordinari, una prestazione è diventata eccessivamente onerosa rispetto all’altra, determinando quindi un consistente squilibrio nel rapporto tra le parti, eccedente l’alea normale del contratto.

L’eccessiva onerosità sopravvenuta non opera automaticamente: la parte la cui prestazione è divenuta eccessivamente onerosa potrà domandare in giudizio la risoluzione del contratto; la controparte, tuttavia, avrà la possibilità di evitare la cessazione del rapporto offrendo di modificare le condizioni del contratto, riportandolo ad equità.

  • Qual è la differenza tra eccessiva onerosità sopravvenuta e causa di forza     maggiore?

La differenza tra le due fattispecie risiede nell’intervenuta impossibilità della prestazione che – a differenza dell’eccessiva onerosità, ove le prestazioni sono entrambe possibili – caratterizza la causa di forza maggiore. In tale ultimo caso, infatti, è proprio richiesto dalla giurisprudenza che l’evento impeditivo sia di forza tale da rendere impossibile l’adempimento e non semplicemente più oneroso.

  •      Che cosa è l’inadempimento di necessità?

L’inadempimento di necessità è una fattispecie di matrice dottrinale, che non trova riscontro né nella legge, né in giurisprudenza. Tale teorizzazione parte dal presupposto che l’impossibilità temporanea di cui tratta l’art. 1256 comma 2 c.c. si riferisca non tanto alla prestazione intesa nel suo complesso, quanto piuttosto all’adempimento della prestazione stessa. In tal modo, l’impossibilità temporanea sarebbe quindi integrata anche nei casi in cui la prestazione sia ancora possibile, ma sussistano al contempo impedimenti oggettivi all’adempimento.

Accogliendo invece l’interpretazione data dai sostenitori della fattispecie dell’inadempimento di necessità, l’obbligo di corrispondere denaro – che, salvo rarissimi casi, è sempre possibile – potrebbe essere considerato temporaneamente impossibile, qualora – a causa di fattori straordinari, imprevedibili e non prevenibili dalle parti, come il COVID-19 – si verifichi una condizione di grave ed improvviso dissesto economico. La teoria, come sopra precisato, non ha però ancora avuto riscontro diretto nella giurisprudenza.

CASISTICA

  • Qualora un conduttore conduca in locazione ex L. 392/1978 un immobile ad uso commerciale e l’attività nonché i consumi siano cessati da circa un mese, può recedere per gravi motivi?

I gravi motivi che giustificano il recesso del conduttore devono essere – per orientamento giurisprudenziale costante – estranei alla sua volontà, imprevedibili, sopravvenuti, tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto e da incidere significativamente sull’azienda del conduttore. Conseguentemente, non possono costituire “gravi motivi” di cui all’art. 27 L. n. 392 del 1978 gli eventi rientranti nell’ordinario rischio di impresa.

Occorre premettere che la diffusione del COVID-19, in sé, non è sufficiente ai fini del recesso per gravi motivi. E’ necessario verificarne le conseguenza caso per caso, conduttore per conduttore: in concreto.

Le gravi conseguenze economiche che effettivamente subisce il singolo esercizio commerciale del conduttore (e non l’operatore commerciale nel suo complesso) a causa dei provvedimenti del Governo italiano potrebbero ben sostenersi essere gravi motivi che giustificano il recesso ex art. 27 della L. n. 392/1978.

Come intuibile, quanto sopra potrà subire delle variazioni in base al contenuto dei singoli contratti sottoscritti dagli operatori commerciali ed anche con riferimento alla durata nel tempo dei provvedimenti e dei loro effetti.

  • Qualora un affittuario conduca in affitto di ramo d’azienda un esercizio commerciale sito in un centro commerciale e l’attività nonché i consumi siano cessati da circa un mese, può risolvere il contratto?

La presente fattispecie potrebbe essere riconducibile alla fattispecie dell’eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., determinandosi un’alterazione dell’originario rapporto di equivalenza tra le prestazioni.

In questa ipotesi, il nodo problematico potrebbe essere legato al fattore temporale, non potendosi predeterminare un periodo di tempo, trascorso il quale la prestazione diventa eccessivamente onerosa.

  • Qualora un conduttore conduca in locazione ex L. 392/1978 un immobile ad uso commerciale in un centro cittadino e sia titolare di un esercizio commerciale, può chiedere la riduzione del canone di locazione per i giorni di chiusura che sono stati imposti dalle nuove disposizioni del governo? Può chiedere la ripetizione del canone o omettere di pagarlo per i giorni non goduti o che non godrà per effetto di queste disposizioni?

Con i provvedimenti che si sono via via succeduti a partire dal 1° marzo 2020 il Governo ha disposto la chiusura al pubblico delle attività commerciali. La misura, inizialmente limitata solo a certe tipologie di attività nonché a determinate zone e a specifici giorni della settimana, è successivamente divenuta obbligatoria per tutti i giorni della settimana e per tutti gli esercizi commerciali della Penisola con esclusione di alcune attività commerciali con il DPCM dell’11 marzo 2020.

Durante i giorni di chiusura imposti dall’Autorità il conduttore non ha la possibilità di aprire al pubblico il proprio punto vendita per motivi ad esso non imputabili.

Se i giorni di chiusura sono da classificarsi come un’impossibilità di godere dell’immobile, il conduttore potrebbe avere diritto di non pagare – ovvero, in caso di pagamento anticipato, di ripetere – il canone relativo ai giorni di chiusura.

  • Qualora un affittuario conduca in affitto di ramo d’azienda un esercizio commerciale sito in un centro commerciale, può chiedere la riduzione del canone di affitto per i giorni di chiusura che sono stati imposti dalle nuove disposizioni del governo? Può chiedere la ripetizione del canone o omettere di pagarlo per i giorni non goduti o che non godrà per effetto di queste disposizioni?

Nel contratto di affitto di ramo d’azienda, infatti, quest’ultimo viene concesso in godimento all’affittuario sul presupposto che esso abbia uno scopo produttivo.

Ebbene, considerato che un provvedimento governativo ha imposto la chiusura dei centri commerciali (e dunque dei negozi in esso siti) , l’affittuario potrebbe chiedere la riduzione del canone ovvero la ripetizione di quello già pagato, limitatamente ai giorni di chiusura.

  • In caso di locazione di immobile ad uso commerciale o in caso di affitto di ramo d’azienda, anche in un centro commerciale, si può sospendere la corresponsione del canone fino alla fine dell’emergenza sanitaria o quantomeno fino al 3 aprile 2020?

Il tema è di estrema complessità. Non vi è certo una risposta univoca.

Fino al 12 marzo non era stata imposta la chiusura di tutti gli esercizi commerciali, adesso divenuta obbligatoria con l’eccezione di quelle attività essenziali, come farmacie, alimentari e simili.

Ebbene, fino a che vi era una scelta sulla chiusura e non vi era quindi un provvedimento autoritativo in merito a tutti gli esercizi commerciali, la possibilità di sospendere il canone doveva essere argomentata sulla base di principi di diritto, come il già ricordato principio di buona fede nell’esecuzione del contratto.

Come ricordato, il decreto del 12 marzo 2020 ha imposto la chiusura di tutti i punti vendita. Tale evento impatta sicuramente sul ragionamento sopra svolto.

Infatti, vi è un ordine autoritativo che impedisce all’operatore commerciale di svolgere la sua attività. Per le conseguenze derivanti da questo provvedimento ed inerenti alla possibilità di sospendere il pagamento del canone, si rimanda a quanto già spiegato ai precedenti punti c) e d), trattandosi di un caso – si ritiene – di impossibilità della prestazione del concedente.

Un’ulteriore lettura del fenomeno potrebbe essere ricavata da un’analisi volta a focalizzarsi sulla causa concreta del contratto. Ebbene, è evidente che – in entrambi i contratti di specie – la causa concreta del contratto (dal lato del conduttore/affittuario) è l’esercizio dell’attività commerciale. Facendo leva su

tale presupposto, potrebbe sostenersi che la prestazione del concedente, seppur non impossibile (ma sul tema si vedano i precedenti punti c) e d)), lo diventi di fatto, in quanto non più idonea a soddisfare l’interesse del conduttore/affittuario, nonché la causa concreta del contratto.

Da ultimo, un argomento per regolare esplicitamente il presente aspetto consiste nel fare riferimento all’art. 1374 c.c., secondo il quale “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”. Ebbene, qualora le parti non avessero regolato espressamente nel contratto le conseguenze da riconnettere ad una situazione come quella che stiamo vivendo in queste settimane, potrebbe sostenersi che il contratto debba essere integrato secondo equità.

  • Quali sono i rischi in caso di sospensione dei pagamenti?

Premesso che è senz’altro opportuno e consigliabile comunicare alla proprietà l’eventuale decisione di sospendere i pagamenti in considerazione della chiusura imposta per il COVID-19, la risposta a questa domanda può variare ovviamente sulla base dei singoli contratti sottoscritti. In generale, è legittimo aspettarsi che il proprietario provi ad opporsi alla richiesta del conduttore adducendo un suo inadempimento.

E’ necessario prima di valutare questa ipotesi leggere attentamente il contratto e valutare i profili che dovessero emergere con riferimento a clausole risolutive espresse ivi eventualmente contenute.

  • L’epidemia, la pandemia – o, comunque, lo stato di emergenza sanitaria – sono “coperte” dalle assicurazioni standard dei retailers?

Ovviamente occorrerà verificare, caso per caso, se la polizza assicurativa copre o meno eventi di questo tipo.

  • Qualora un camion di merce venga bloccato alla frontiera a causa dell’emergenza sanitaria, il trasportatore sarà responsabile per l’inadempimento?

Occorre premettere che, al momento, è garantita la libera circolazione delle merci, quindi – teoricamente – un mezzo di trasporto non potrebbe essere bloccato. Tuttavia, i casi di operatori le cui merci sono state bloccate all’ingresso in Italia stanno aumentando rapidamente.

Bisogna innanzitutto verificare se il contratto è soggetto alla legge italiana. Se lo è, la risposta alla domanda è variabile, sulla base dell’effettivo contenuto del contratto. Qualora il contratto nulla specifichi, allora il trasportatore non sarà responsabile dell’inadempimento. Come abbiamo avuto modo di ricordare supra, il blocco delle merci a causa dell’attuale emergenza sanitaria nazionale ed internazionale costituisce un evento di forza maggiore, che pertanto ha l’effetto di esonerare il debitore da responsabilità per l’inadempimento. Tuttavia, il debitore non avrà certo diritto ad arricchirsi ingiustificatamente e dovrà, pertanto, restituire quanto eventualmente già corrispostogli per il servizio divenuto impossibile.

Qualora, al contrario, il contratto prevedesse esplicitamente una clausola di forza maggiore, occorrerà verificare nel caso specifico. Ovviamente, qualora l’epidemia e/o la pandemia siano ricomprese nell’elenco degli eventi che costituiscono forza maggiore, nulla quaestio. Se, invece, tali eventi non sono espressamente citati nel contratto, occorrerà verificare se le parti hanno inteso prevedere un elenco tassativo oppure meramente esemplificativo di eventi di forza maggiore, con un risultato che potrà quindi variare da contratto a contratto.

  1. Qualora un operatore commerciale produca beni utilizzando materie prime provenienti da un paese estero in crisi a causa del COVID-19 e sia costretto quindi ad approvvigionarsi da un altro paese estero, ove il prezzo è notevolmente più alto, quali strumenti ha a sua disposizione?

Trattasi di un classico caso da eccessiva onerosità sopravvenuta. Nella situazione sopra descritta, qualora l’aggravio di spese per l’operatore commerciale sia consistente e non marginale, allora egli avrà la facoltà di domandare ai propri clienti la risoluzione del contratto; la controparte, come sopra ricordato, avrà la facoltà di evitare tale conseguenza offrendo condizioni che riportino il vantaggio ad equità. Nei rapporti con il fornitore inadempiente (ad es. cinese o coreano) dovrà invece esigere la prova dell’impossibilità di adempiere, per poter a propria volta avvalersene nei rapporti con i propri clienti.  

Se il fornitore o il cliente si trovano all’estero, bisogna verificare la legge applicabile al rapporto contrattuale, nonché l’applicabilità della Convenzione di Vienna sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili del 1980. 

È comunque opportuno dare immediatamente notizia alla controparte della propria impossibilità temporanea o definitiva, eventualmente derivante dall’inadempimento di un terzo, nonché poter provare di avere fatto il possibile per limitare gli effetti dell’evento.    

  • Qualora un’impresa italiana debba ricevere servizi (es. montaggio o manutenzione) da un’impresa che si trova in un Paese che ha vietato i voli da/per l’Italia, può pretendere un risarcimento per la mancata erogazione del servizio?

Anche in questo caso, la prima verifica da fare è quale legge regoli il contratto.

Se si tratta del diritto italiano, il fornitore del servizio dovrà provare l’effettiva impossibilità di inviare tecnici o pezzi di ricambio in Italia e sarà così liberato dall’obbligo, ma dovrà restituire quanto eventualmente già ricevuto per il servizio stesso: il calcolo del rimborso non sarà agevole in tutti i casi in cui i servizi costituiscono un accessorio di un altro contratto (ad esempio della fornitura di un impianto). In base ai principi generali, tuttavia, nulla è dovuto oltre a tale rimborso: l’impresa che sia costretta a rivolgersi ad altri per l’erogazione del servizio non potrà quindi chiedere all’originario fornitore il risarcimento integrale dei maggiori costi sostenuti.  

  • Che cosa è la causa di forza maggiore?

Il principio di “forza maggiore” non trova una definizione espressa nel nostro ordinamento che si limita all’art. 1467 del Codice Civile a fare riferimento a “fatti straordinari e imprevedibili”.

L’individuazione specifica di cosa sia la forza maggiore è dunque rimessa alla giurisprudenza. La causa di forza maggiore – qualificata come una causa di esonero da responsabilità in caso di inadempimento – consiste in un evento oggettivo, straordinario ed imprevedibile, di forza tale da rendere impossibile l’adempimento (e non semplicemente più oneroso) (tra le tante, Cass. nn. 15073/09, 9645/04, 2339/92, 8294/90, 5653/90 e 252/53).

  •      Che cosa è il factum principis?

Al pari della causa di forza maggiore, anch’esso si qualifica come causa di esonero da responsabilità, in quanto evento terzo che rende impossibile l’adempimento di un’obbligazione.

Tuttavia, il factum principis si differenzia dalla causa di forza maggiore per la natura dell’evento impeditivo: il factum principis è infatti l’ordine dell’autorità che rende impossibile l’esecuzione della prestazione.

  •      Che cosa è l’impossibilità sopravvenuta?

L’impossibilità sopravvenuta è una causa di estinzione dell’obbligazione diversa dall’adempimento. Essa si verifica in un momento successivo alla sottoscrizione del contratto e deriva da una causa avente natura esterna, di carattere imprevedibile e non prevenibile secondo la diligenza media.

L’impossibilità sopravvenuta può essere definitiva o temporanea, ovvero totale o parziale, con conseguenze che, come avremo modo di illustrare, variano a seconda dei casi.

  •      Quando l’impossibilità è parziale?

È possibile che una determinata prestazione diventi solo parzialmente impossibile, e che quindi vi sia una prestazione residua che può essere adempiuta.

In tal caso, la controparte ha diritto ad una riduzione della sua controprestazione oppure, qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale, può recedere dal contratto.

  •      Che differenza c’è tra impossibilità temporanea e definitiva?

Come suggeriscono i termini stessi, la differenza tra le due fattispecie risiede nel piano temporale, nonché nelle conseguenze che da esse derivano. Quando una prestazione diventa definitivamente impossibile allora l’obbligazione si estingue.

In caso di impossibilità temporanea, invece, l’obbligazione non si estingue; finché l’impossibilità temporanea perdura, il debitore non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Qualora l’impossibilità temporanea venga meno ed il creditore abbia ancora interesse a conseguirla, il debitore potrà adempiere, senza alcuna responsabilità a suo carico per il ritardo. L’obbligazione si estingue solo se l’impossibilità temporanea perdura fino a quando – in relazione al titolo o all’oggetto – il debitore non possa più essere ritenuto obbligato ad eseguirla, ovvero il creditore non abbia più interesse a conseguirla.

  •      Che cosa è l’eccessiva onerosità sopravvenuta?

Premessa fondamentale è che l’eccessiva onerosità sopravvenuta può riconoscersi solo nei casi di contratti ad esecuzione periodica o continuata ovvero ad esecuzione differita.

Nel presente caso, le prestazioni sono entrambe ancora possibili. Tuttavia, a causa di fattori esterni, imprevedibili e straordinari, una prestazione è diventata eccessivamente onerosa rispetto all’altra, determinando quindi un consistente squilibrio nel rapporto tra le parti, eccedente l’alea normale del contratto.

L’eccessiva onerosità sopravvenuta non opera automaticamente: la parte la cui prestazione è divenuta eccessivamente onerosa potrà domandare in giudizio la risoluzione del contratto; la controparte, tuttavia, avrà la possibilità di evitare la cessazione del rapporto offrendo di modificare le condizioni del contratto, riportandolo ad equità.

  • Qual è la differenza tra eccessiva onerosità sopravvenuta e causa di forza     maggiore?

La differenza tra le due fattispecie risiede nell’intervenuta impossibilità della prestazione che – a differenza dell’eccessiva onerosità, ove le prestazioni sono entrambe possibili – caratterizza la causa di forza maggiore. In tale ultimo caso, infatti, è proprio richiesto dalla giurisprudenza che l’evento impeditivo sia di forza tale da rendere impossibile l’adempimento e non semplicemente più oneroso.

  •      Che cosa è l’inadempimento di necessità?

L’inadempimento di necessità è una fattispecie di matrice dottrinale, che non trova riscontro né nella legge, né in giurisprudenza. Tale teorizzazione parte dal presupposto che l’impossibilità temporanea di cui tratta l’art. 1256 comma 2 c.c. si riferisca non tanto alla prestazione intesa nel suo complesso, quanto piuttosto all’adempimento della prestazione stessa. In tal modo, l’impossibilità temporanea sarebbe quindi integrata anche nei casi in cui la prestazione sia ancora possibile, ma sussistano al contempo impedimenti oggettivi all’adempimento.

Accogliendo invece l’interpretazione data dai sostenitori della fattispecie dell’inadempimento di necessità, l’obbligo di corrispondere denaro – che, salvo rarissimi casi, è sempre possibile – potrebbe essere considerato temporaneamente impossibile, qualora – a causa di fattori straordinari, imprevedibili e non prevenibili dalle parti, come il COVID-19 – si verifichi una condizione di grave ed improvviso dissesto economico. La teoria, come sopra precisato, non ha però ancora avuto riscontro diretto nella giurisprudenza.

CASISTICA

  • Qualora un conduttore conduca in locazione ex L. 392/1978 un immobile ad uso commerciale e l’attività nonché i consumi siano cessati da circa un mese, può recedere per gravi motivi?

I gravi motivi che giustificano il recesso del conduttore devono essere – per orientamento giurisprudenziale costante – estranei alla sua volontà, imprevedibili, sopravvenuti, tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto e da incidere significativamente sull’azienda del conduttore. Conseguentemente, non possono costituire “gravi motivi” di cui all’art. 27 L. n. 392 del 1978 gli eventi rientranti nell’ordinario rischio di impresa.

Occorre premettere che la diffusione del COVID-19, in sé, non è sufficiente ai fini del recesso per gravi motivi. E’ necessario verificarne le conseguenza caso per caso, conduttore per conduttore: in concreto.

Le gravi conseguenze economiche che effettivamente subisce il singolo esercizio commerciale del conduttore (e non l’operatore commerciale nel suo complesso) a causa dei provvedimenti del Governo italiano potrebbero ben sostenersi essere gravi motivi che giustificano il recesso ex art. 27 della L. n. 392/1978.

Come intuibile, quanto sopra potrà subire delle variazioni in base al contenuto dei singoli contratti sottoscritti dagli operatori commerciali ed anche con riferimento alla durata nel tempo dei provvedimenti e dei loro effetti.

  • Qualora un affittuario conduca in affitto di ramo d’azienda un esercizio commerciale sito in un centro commerciale e l’attività nonché i consumi siano cessati da circa un mese, può risolvere il contratto?

La presente fattispecie potrebbe essere riconducibile alla fattispecie dell’eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., determinandosi un’alterazione dell’originario rapporto di equivalenza tra le prestazioni.

In questa ipotesi, il nodo problematico potrebbe essere legato al fattore temporale, non potendosi predeterminare un periodo di tempo, trascorso il quale la prestazione diventa eccessivamente onerosa.

  • Qualora un conduttore conduca in locazione ex L. 392/1978 un immobile ad uso commerciale in un centro cittadino e sia titolare di una media e/o grande struttura di vendita, può chiedere la riduzione del canone di locazione per i giorni di chiusura che sono stati imposti dalle nuove disposizioni del governo? Può chiedere la ripetizione del canone o omettere di pagarlo per i giorni non goduti o che non godrà per effetto di queste disposizioni?

La fattispecie è riconducibile al caso di impossibilità parziale ex art. 1464 c.c.

Infatti, dall’8 marzo 2020 – per la Lombardia – e dal 10 marzo 2020 – anche per il resto d’Italia – il Governo ha imposto la chiusura delle medie e grandi strutture di vendita nel fine settimana. La misura è divenuta obbligatoria per tutti i giorni della settimana e per tutti gli esercizi della Penisola con esclusione di alcune attività commerciali con il DPCM dell’11 marzo 2020.

Per tali giorni di chiusura, pertanto, il conduttore non ha la possibilità di aprire il proprio punto vendita. Se pertanto i giorni di chiusura sono da classificarsi come una impossibilità di godere dell’immobile, il conduttore dovrebbe avere diritto a non pagare – ovvero, in caso di pagamento anticipato, a ripetere – il canone relativo a quei giorni.

La riconducibilità di tale fattispecie all’impossibilità parziale dipende in gran parte dal contratto sottoscritto dalle parti nel caso specifico.

  • Qualora un affittuario conduca in affitto di ramo d’azienda un esercizio commerciale sito in un centro commerciale, può chiedere la riduzione del canone di affitto per i giorni di chiusura che sono stati imposti dalle nuove disposizioni del governo? Può chiedere la ripetizione del canone o omettere di pagarlo per i giorni non goduti o che non godrà per effetto di queste disposizioni?

In questo caso, la risposta appare più semplice rispetto a quella del punto precedente. Nel contratto di affitto di ramo d’azienda, infatti, quest’ultimo viene concesso in affitto all’affittuario sul presupposto che esso abbia uno scopo produttivo.

Ebbene, considerato che un provvedimento governativo ha imposto la chiusura forzata del ramo d’azienda all’interno del centro commerciale, impedendo di fatto al ramo stesso di provvedere allo scopo produttivo per cui è stato concesso in affitto, allora l’affittuario potrebbe ragionevolmente chiedere la riduzione del canone, ovvero ripetere quello già pagato, limitatamente – come ovvio – ai giorni di chiusura.

  • In caso di locazione di immobile ad uso commerciale o in caso di affitto di ramo d’azienda, anche in un centro commerciale, si può sospendere la corresponsione del canone fino alla fine dell’emergenza sanitaria o quantomeno fino al 3 aprile 2020?

Il tema è di estrema complessità. Non vi è certo una risposta univoca.

Fino al 12 marzo non era stata imposta la chiusura di tutti gli esercizi commerciali, adesso divenuta obbligatoria con l’eccezione di quelle attività essenziali, come farmacie, alimentari e simili.

Ebbene, fino a che vi era una scelta sulla chiusura e non vi era quindi un provvedimento autoritativo in merito a tutti gli esercizi commerciali, la possibilità di sospendere il canone doveva essere argomentata sulla base di principi di diritto, come il già ricordato principio di buona fede nell’esecuzione del contratto.

Come ricordato, il decreto del 12 marzo 2020 ha imposto la chiusura di tutti i punti vendita. Tale evento impatta sicuramente sul ragionamento sopra svolto.

Infatti, vi è un ordine autoritativo che impedisce all’operatore commerciale di svolgere la sua attività. Per le conseguenze derivanti da questo provvedimento ed inerenti alla possibilità di sospendere il pagamento del canone, si rimanda a quanto già spiegato ai precedenti punti c) e d), trattandosi di un caso – si ritiene – di impossibilità della prestazione del concedente.

Un’ulteriore lettura del fenomeno potrebbe essere ricavata da un’analisi volta a focalizzarsi sulla causa concreta del contratto. Ebbene, è evidente che – in entrambi i contratti di specie – la causa concreta del contratto (dal lato del conduttore/affittuario) è l’esercizio dell’attività commerciale. Facendo leva su

tale presupposto, potrebbe sostenersi che la prestazione del concedente, seppur non impossibile (ma sul tema si vedano i precedenti punti c) e d)), lo diventi di fatto, in quanto non più idonea a soddisfare l’interesse del conduttore/affittuario, nonché la causa concreta del contratto.

Da ultimo, un argomento per regolare esplicitamente il presente aspetto consiste nel fare riferimento all’art. 1374 c.c., secondo il quale “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”. Ebbene, qualora le parti non avessero regolato espressamente nel contratto le conseguenze da riconnettere ad una situazione come quella che stiamo vivendo in queste settimane, potrebbe sostenersi che il contratto debba essere integrato secondo equità.

  • Quali sono i rischi in caso di sospensione dei pagamenti?

Premesso che è senz’altro opportuno e consigliabile comunicare alla proprietà l’eventuale decisione di sospendere i pagamenti in considerazione della chiusura imposta per il COVID-19, la risposta a questa domanda può variare ovviamente sulla base dei singoli contratti sottoscritti. In generale, è legittimo aspettarsi che il proprietario provi ad opporsi alla richiesta del conduttore adducendo un suo inadempimento.

E’ necessario prima di valutare questa ipotesi leggere attentamente il contratto e valutare i profili che dovessero emergere con riferimento a clausole risolutive espresse ivi eventualmente contenute.

  • L’epidemia, la pandemia – o, comunque, lo stato di emergenza sanitaria – sono “coperte” dalle assicurazioni standard dei retailers?

Ovviamente occorrerà verificare, caso per caso, se la polizza assicurativa copre o meno eventi di questo tipo.

  • Qualora un camion di merce venga bloccato alla frontiera a causa dell’emergenza sanitaria, il trasportatore sarà responsabile per l’inadempimento?

Occorre premettere che, al momento, è garantita la libera circolazione delle merci, quindi – teoricamente – un mezzo di trasporto non potrebbe essere bloccato. Tuttavia, i casi di operatori le cui merci sono state bloccate all’ingresso in Italia stanno aumentando rapidamente.

Bisogna innanzitutto verificare se il contratto è soggetto alla legge italiana. Se lo è, la risposta alla domanda è variabile, sulla base dell’effettivo contenuto del contratto. Qualora il contratto nulla specifichi, allora il trasportatore non sarà responsabile dell’inadempimento. Come abbiamo avuto modo di ricordare supra, il blocco delle merci a causa dell’attuale emergenza sanitaria nazionale ed internazionale costituisce un evento di forza maggiore, che pertanto ha l’effetto di esonerare il debitore da responsabilità per l’inadempimento. Tuttavia, il debitore non avrà certo diritto ad arricchirsi ingiustificatamente e dovrà, pertanto, restituire quanto eventualmente già corrispostogli per il servizio divenuto impossibile.

Qualora, al contrario, il contratto prevedesse esplicitamente una clausola di forza maggiore, occorrerà verificare nel caso specifico. Ovviamente, qualora l’epidemia e/o la pandemia siano ricomprese nell’elenco degli eventi che costituiscono forza maggiore, nulla quaestio. Se, invece, tali eventi non sono espressamente citati nel contratto, occorrerà verificare se le parti hanno inteso prevedere un elenco tassativo oppure meramente esemplificativo di eventi di forza maggiore, con un risultato che potrà quindi variare da contratto a contratto.

  • Qualora un operatore commerciale produca beni utilizzando materie prime provenienti da un paese estero in crisi a causa del COVID-19 e sia costretto quindi ad approvvigionarsi da un altro paese estero, ove il prezzo è notevolmente più alto, quali strumenti ha a sua disposizione?

Trattasi di un classico caso da eccessiva onerosità sopravvenuta. Nella situazione sopra descritta, qualora l’aggravio di spese per l’operatore commerciale sia consistente e non marginale, allora egli avrà la facoltà di domandare ai propri clienti la risoluzione del contratto; la controparte, come sopra ricordato, avrà la facoltà di evitare tale conseguenza offrendo condizioni che riportino il vantaggio ad equità. Nei rapporti con il fornitore inadempiente (ad es. cinese o coreano) dovrà invece esigere la prova dell’impossibilità di adempiere, per poter a propria volta avvalersene nei rapporti con i propri clienti.  

Se il fornitore o il cliente si trovano all’estero, bisogna verificare la legge applicabile al rapporto contrattuale, nonché l’applicabilità della Convenzione di Vienna sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili del 1980. 

È comunque opportuno dare immediatamente notizia alla controparte della propria impossibilità temporanea o definitiva, eventualmente derivante dall’inadempimento di un terzo, nonché poter provare di avere fatto il possibile per limitare gli effetti dell’evento.    

  • Qualora un’impresa italiana debba ricevere servizi (es. montaggio o manutenzione) da un’impresa che si trova in un Paese che ha vietato i voli da/per l’Italia, può pretendere un risarcimento per la mancata erogazione del servizio?

Anche in questo caso, la prima verifica da fare è quale legge regoli il contratto.

Se si tratta del diritto italiano, il fornitore del servizio dovrà provare l’effettiva impossibilità di inviare tecnici o pezzi di ricambio in Italia e sarà così liberato dall’obbligo, ma dovrà restituire quanto eventualmente già ricevuto per il servizio stesso: il calcolo del rimborso non sarà agevole in tutti i casi in cui i servizi costituiscono un accessorio di un altro contratto (ad esempio della fornitura di un impianto). In base ai principi generali, tuttavia, nulla è dovuto oltre a tale rimborso: l’impresa che sia costretta a rivolgersi ad altri per l’erogazione del servizio non potrà quindi chiedere all’originario fornitore il risarcimento integrale dei maggiori costi sostenuti.