Il 22 marzo il Governo ha disposto il lockdown delle attività produttive. La decisione a lungo rimandata non poteva essere più posposta considerato che le misure previamente adottate (uscire di casa solo per limitate necessità, chiusura della maggior parte delle attività commerciali, chiusura delle scuole, ecc.) parevano ormai insufficienti a rallentare la diffusione del COVID-19.
Il Decreto del Presidente del Consiglio del 22 marzo proibisce tutte le attività industriali e commerciali ad eccezione di quelle elencate nell’allegato contenuto nel decreto.
Quali sono dunque le attività consentite?
In poche parole, tali attività sono quelle finalizzate a soddisfare i bisogni primari delle persone quali il cibo, i prodotti chimici, i combustibili, la corrente, ecc.
Le attività consentite vengono identificate per il tramite del codice ATECO, che viene attribuito a ciascuna società in fase di registrazione presso il registro delle imprese sulla base dell’attività che la società andrà a svolgere.
Il DPCM del 22 marzo consente altresì l’operatività di quelle attività industriali e commerciali che si pongono nella “filiera” delle attività contenute nell’allegato al DPCM.
Mentre l’operatività delle attività elencato nell’allegato al DPCM è automatica, lo stesso non vale per quelle nella “filiera”.
Gli imprenditori che svolgono attività funzionale alle attività elencate nel DPCM devono, infatti, inviare una comunicazione scritta al Prefetto territorialmente competente, individuando dettagliatamente in tale comunicazione i clienti che riforniscono con espressa indicazione dei relativi codici ATECO. Una volta inviata la comunicazione al Prefetto, l’imprenditore nella filiera può avviare la propria attività; il Prefetto ha, peraltro, il potere di verificare l’effettiva sussistenza dei requisiti posti dal DPCM del 22 marzo e può altresì proibire la prosecuzione dell’attività qualora essi non sussistano.
Lo svolgimento di un’attività commerciale o industriale senza i requisiti previsti dal DPCM del 22 marzo 2020 è soggetto ad una sanzione amministrativa da Euro 400,00 a Euro 3.000,00 e alla sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’attività per un periodo da un minimo di 5 giorni ad un massimo di 30, così come stabilito dal Decreto Legge 25 marzo 2020, 19).
Le attività consentite (sia perché elencate nel DPCM 22 marzo 2020 sia perché rientrano nella filiera delle attività di cui al predetto allegato) sono soggette al rispetto delle dettagliate misure elencate nel protocollo tra governo e sindacati del 14 marzo; se non sono in grado di rispettare tali misure, esse devono rimanere chiuse.
In risposta alle molteplici lamentele di sindacati e associazioni di categoria, il Ministro dello Sviluppo Economico ha provveduto con decreto del 25 marzo 2020 a sostituire l’originario allegato al DPCM del 2020 con un nuovo elenco aggiornato con un maggior numero di attività permesse.