Il cosiddetto Decreto Liquidità (DL 23 dell’8 aprile 2020) include una serie di misure che tentano di garantire una tenuta – o almeno di contenere la dispersione – del tessuto imprenditoriale nazionale. Per tale ragione, il decreto include alcuni articoli che intervengono su temi di diritto societario, come la riduzione del capitale per perdite, lo scioglimento delle società, la redazione del bilancio e l’accesso alle procedure concorsuali.
Esamineremo brevemente di seguito le disposizioni che più strettamente riguardano il diritto societario e – anche senza servirci del consueto schema domanda/risposta – cercheremo di essere sintetici e chiari.
Disposizioni in tema di riduzione del capitale sociale
Nel caso in cui una società registri perdite di capitale oltre un terzo, le regole codicistiche impongono agli amministratori di convocare immediatamente un’assemblea dei soci che decida per ricapitalizzazione, scioglimento o trasformazione della società stessa.
Ai sensi dell’articolo 6 del Decreto Liquidità, stante l’emergenza covid-19, qualora nel corso dell’esercizio chiuso entro il 31 dicembre 2020, si verifichi una perdita di capitale oltre un terzo, ed anche qualora ciò comporti che il capitale si riduca al di sotto del minimo legale previsto per legge, non vi è obbligo di ridurre il capitale in proporzione alle perdite, non opera l’obbligo di ricapitalizzare almeno fino al minimo legale, non opera neppure l’obbligo di trasformare o sciogliere la società stessa.
È come se le società – pur versando in gravi difficoltà economico finanziarie – venissero congelate, in attesa che la tempesta (o almeno l’occhio del ciclone) passi.
La relazione illustrativa al Decreto Liquidità chiarisce che tali disposizioni eccezionali mirano a sollevare gli amministratori di società dalla responsabilità prevista dall’articolo 2486 del codice civile, responsabilità cui andrebbero
normalmente incontro per fatti di gestione non conservativa, qualora non azionassero l’intervento e le decisioni dei soci sulla sorte della società.
Con le nuove disposizioni emergenziali, gli amministratori possono scegliere di non liquidare la società, nonostante ci siano tutti gli indicatori che normalmente li obbligherebbero a prendere tale decisione. La relazione chiarisce, tuttavia, che se pur gli amministratori non hanno obbligo di convocare l’assemblea dei soci per l’adozione dei provvedimenti sopra descritti, essi conservano l’obbligo di informare i soci stessi ai sensi dell’articolo 2446 del codice civile, mediante invio di relazione sulla situazione patrimoniale con allegate le osservazioni del collegio sindacale.
Disposizioni in tema di redazione del bilancio
Preliminarmente ricordiamo che il decreto legge Cura Italia (DL 18/20) ha esteso a 180 giorni il termine che decorre dalla chiusura del bilancio per la tenuta dell’assemblea che procederà alla sua approvazione. Il termine ordinario di legge è di 120 giorni, ma è prorogato fino a 180 giorni nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato o quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura ed all’oggetto della società. Ebbene il legislatore, in questo periodo di emergenza, ha ritenuto che l’eccezionalità della situazione debba consentire a tutte le società di beneficiare della proroga, al fine di agevolare la redazione del bilancio e la chiusura dell’esercizio sociale.
L’articolo 7 del Decreto Liquidità prevede per il bilancio 2020 (anche il bilancio eventualmente chiuso entro il 23 febbraio e non ancora approvato) che gli amministratori possano procedere ad una valutazione delle voci nella prospettiva della continuità aziendale di cui all’articolo 2423-bis, comma primo, n. 1), codice civile, a condizione che tale continuità risulti sussistente nell’ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020 (e cioè prima della data di entrata in vigore del D.L. 6/2020 che è il primo dei decreti emanati per contrastare gli effetti dell’epidemia). Il criterio di valutazione adottato deve essere specificamente illustrato nella nota informativa anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente.
In base alle regole ordinarie per la redazione del bilancio, le società non dovrebbero poter utilizzare il criterio della continuità aziendale se non supportato da evidenti risultati di gestione che diano prova del buono stato di salute dell’impresa. Questo criterio implica infatti che le poste di bilancio sono valorizzate sul presupposto che l’azienda prosegua la propria attività in equilibrio
economico finanziario e che è fortemente presumibile che non esistano motivi per una sua liquidazione, neppure di tipo giudiziario.
Il Decreto Liquidità, anche se i risultati di gestione possono essere contrari, autorizza le società ad adottare il principio della continuità aziendale, se, tuttavia, tale continuità risultava almeno nel bilancio precedente.
Per la nuova regola disposta dall’articolo in esame, dunque, per le imprese che si trovavano già in stato di discontinuità nel bilancio 2019, l’adozione del principio di continuità non sarà ammessa.
Disposizioni in materia di finanziamenti alle società
La disposizione di cui all’articolo 8 del decreto è, a nostro avviso, quella che più di tutte cerca di incentivare la liquidità delle imprese, possibilmente senza ricorrere al supporto degli istituti di credito, anche se a parere di chi scrive introduce novità di un certo impatto sulle imprese meno solide e a rischio fallimento.
Dal 9 aprile e fino al 31 dicembre 2020, l’articolo 8 sospende la regola della postergazione per il rimborso dei finanziamenti, effettuati in tale arco temporale, dai soci o dalle società che esercitano direzione e coordinamento. È infatti sospesa l’efficacia degli articoli 2467 e 2497 quinquies del codice civile.
La regola della postergazione del credito dei soci verso la società da sempre è stata posta a garanzia di una maggiore e prioritaria soddisfazione dei terzi creditori. Evidentemente, in un periodo di emergenza, con il rischio di sottocapitalizzazione delle società, il legislatore ha preferito mitigare temporaneamente il principio di garanzia dei creditori per privilegiare l’apporto di liquidità da parte dei soci, garantito appunto dalla possibilità che il rimborso del finanziamento non subisca subordinazioni di sorta.
Una perplessità, tuttavia, sorge anche dall’esame della relazione illustrativa del Decreto Liquidità con riferimento alle società in stato di insolvenza o che si avviano ad essere sottoposte a procedura concorsuale. La garanzia patrimoniale dei creditori di un’impresa fallita potrebbe essere (ulteriormente) pregiudicata dalla mancata postergazione dei crediti dei soci. I soci finanziatori, e per ciò creditori della società, sembrerebbero infatti essere messi sullo stesso piano di tutti gli altri creditori, il che costituisce una rilevante novità rispetto ai principi che siamo usi applicare nella materia concorsuale.
Detto questo, non possiamo non constatare che le regole del fallimento stanno già cambiando con il nuovo codice della crisi d’impresa (la cui entrata in vigore è stata rinviata dallo stesso Decreto Liquidità al 1° settembre 2021) e che la riflessione sopra esposta si inserisce perfettamente nell’alveo di tale cambiamento.
Basti pensare al nuovo articolo 2467 del codice civile che – modificato dal nuovo codice della crisi di impresa – non prevedrà più che i soci di una società fallita debbano restituire alla società il rimborso dei finanziamenti che abbiano incassato entro l’anno precedente al fallimento.
Potrebbe, pertanto, verificarsi il caso di una società che fallisca a settembre 2021 e che veda tra i suoi creditori, alla pari di tutti gli altri e senza obbligo di postergazione, quelli che tra i suoi soci avranno effettuato un finanziamento in suo favore entro il 31 dicembre 2020. Inoltre sempre tali soci non avranno più neppure l’obbligo di restituire alle casse sociali gli eventuali rimborsi di quello stesso finanziamento che la società abbia effettuato in loro favore a partire dal settembre 2020.
Rafforzamento dei poteri speciali nei settori di rilevanza strategica
Fino al 31 dicembre 2020, gli articoli 15 e 16 del decreto ampliano l’applicabilità del cosiddetto golden power ai settori di rilevanza strategica nazionale e quindi alle società che detengono beni e rapporti nei settori di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettere a), b), c), d) ed e), ivi inclusi, nel settore finanziario, quello creditizio e assicurativo, del Regolamento (UE) 2019/452 del 19 marzo 2019:
a) infrastrutture critiche, siano esse fisiche o virtuali, tra cui l’energia, i trasporti, l’acqua, la salute, le comunicazioni, i media, il trattamento o l’archiviazione di dati, le infrastrutture aerospaziali, di difesa, elettorali o finanziarie, e le strutture sensibili, nonché gli investimenti in terreni e immobili fondamentali per l’utilizzo di tali infrastrutture;
b) tecnologie critiche e prodotti a duplice uso quali definiti nell’articolo 2, punto 1, del regolamento (CE) n. 428/2009 del Consiglio, tra cui l’intelligenza artificiale, la robotica, i semiconduttori, la cibersicurezza, le tecnologie aerospaziali, di difesa, di stoccaggio dell’energia, quantistica e nucleare, nonché le nanotecnologie e le biotecnologie;
c) sicurezza dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici, tra cui l’energia e le materie prime, nonché la sicurezza alimentare;
d) accesso a informazioni sensibili, compresi i dati personali, o la capacità di controllare tali informazioni;
e) libertà e pluralismo dei media.
Qualsivoglia attività, anche preliminare, sottesa all’acquisto di partecipazioni in società italiane appartenenti alle suddette categorie, deve essere notificato alle autorità competenti, affinché possano esercitare il golden power, ed è inoltre previsto che il governo possa aprire un procedimento d’ufficio in caso di violazione dei suddetti obblighi di notifica.
Il golden power è applicabile anche ad operazioni che coinvolgano società europee, le quali operazioni dovranno ottenere l’autorizzazione del governo, così come sono sottoposte al golden power pure le operazioni che coinvolgono società extra europee e che prevedano acquisti di partecipazioni superiori al 10% per importi superiori a 1.000.000 di Euro.