Tra le problematiche sorte in ragione della attuale pandemia di Coronavirus vi è certamente quella legata alla limitazione della libertà di circolazione delle persone e alla conseguente cancellazione di numerosi viaggi programmati.
Le restrizioni poste alle frontiere da parte delle pubbliche autorità di tutto il mondo hanno infatti reso difficoltoso – se non impossibile – l’accesso alla mobilità tra paesi diversi e, come nel caso italiano, anche tra regioni e città all’interno dei confini nazionali.
Peraltro, al di là delle misure che hanno imposto ai cittadini di non spostarsi, è anche la condivisibile paura del contagio a far loro decidere di rinunciare al viaggio che avevano scelto di intraprendere.
Dunque, se da un lato vi sono viaggiatori che si trovano nell’impossibilità di muoversi per la cancellazione del volo da parte della compagnia aerea, dall’altro vi sono anche consumatori che volontariamente decidono di rinunciare al viaggio nonostante (ad oggi) rimanga la possibilità di usufruirne.
Chiaramente, ciò pone ora dubbi circa la rimborsabilità dei viaggi già acquistati, ma soprattutto impone una riflessione sulle modalità di rimborso che aziende di trasporto e tour operator devono garantire ai consumatori che non possono (o non vogliono) godere delle prestazioni acquistate.
Per fare ciò, è utile svolgere in primis una breve analisi della normativa multilivello che caratterizza questo settore, così da meglio comprendere quali siano state le misure emergenziali adottate in queste settimane e, soprattutto, dove auspicabilmente potrebbe orientarsi la giurisprudenza al fine di garantire la piena tutela dei consumatori.
La rimborsabilità di pacchetti turistici cd. all-inclusive, comprensivi dunque non solo del viaggio aereo, ma anche di servizi ulteriori quali l’alloggio o il noleggio d’auto a destinazione, è stata oggetto di regolamentazione sia da parte del legislatore europeo, che di quello nazionale, chiamato ad adeguarsi al primo.
L’art. 41, comma 4, del Codice del Turismo (attuativo della Direttiva 2008/122/CE) prevede espressamente che in caso di circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze e che hanno un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto o sul trasporto di passeggeri verso la destinazione il viaggiatore ha diritto di recedere dal contratto, prima dell’inizio del pacchetto (…) ed al rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto (…).
Non restano dunque particolari dubbi circa l’obbligo in capo all’organizzatore di rimborsare integralmente il viaggiatore che, messo nella condizione di non potervi godere appieno, decida unilateralmente di rinunciare al pacchetto turistico.
Non vi possono essere dubbi nemmeno con riguardo al caso in cui sia l’organizzatore del viaggio a recedere dal contratto di pacchetto turistico per circostanze inevitabili e straordinarie, dal momento che secondo il successivo comma 5 egli è ugualmente chiamato al rimborso integrale.
L’art. 12, paragrafi 2 e 3, della successiva direttiva 2015/2302/UE relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, ha peraltro ribadito quanto previsto dal nostro Codice del Turismo, disponendo che venga garantito al consumatore il rimborso integrale in entrambi i casi.
Per quanto concerne invece la rimborsabilità dei viaggi aerei non ricompresi all’interno di un pacchetto turistico, la normativa di riferimento è rappresentata dal Regolamento 2004/261/CE che ha istituito regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato.
Data la materia, nel citato Regolamento europeo non viene trattato il caso del libero recesso da parte del viaggiatore, ma per il caso della cancellazione del volo da parte del vettore aereo viene sicuramente garantito il rimborso integrale, come previsto dall’art. 8.
Definiti i confini della normativa ordinaria e chiarito quando essa prevede un rimborso integrale a favore del viaggiatore, passiamo all’analisi delle misure emergenziali assunte dal nostro Governo in risposta alla pandemia e ai problemi interpretativi che ne conseguono.
Con Decreto Legge n. 9 del 2 marzo 2020 (art. 28) è stata sancita la sopravvenuta impossibilità della prestazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1463 del Codice Civile, per tutti i contratti di trasporto aereo stipulati dai soggetti che, a causa delle restrizioni imposte in ragione della situazione emergenziale epidemiologica da COVID-19, non possono usufruire del servizio. Conseguenza di ciò è la possibilità per i viaggiatori di richiedere il libero recesso per i contratti di trasporto, ma anche dai contratti di pacchetto turistico, come indicato dal comma 5 del medesimo articolo.
Tuttavia, in aggiunta è stato previsto che in conseguenza del recesso esercitato dal viaggiatore, il vettore o l’organizzatore possano emettere un voucher di importo pari a quello del titolo di viaggio o del pacchetto turistico acquistato, da utilizzare entro un anno dalla sua emissione, e questo in sostituzione del rimborso in denaro.
Con l’art. 88 del successivo Decreto Legge del 17 marzo 2020 n. 18 (“Decreto Cura Italia”) le previsioni per i contratti di trasporto e per i pacchetti turistici sono state allargate ai semplici contratti di soggiorno. Anche qui confermata la scelta per il venditore tra rimborso ad integrum o emissione di un voucher.
Tutte queste misure sono state da poco confermate con la Legge 24 aprile 2020 n. 27.
La scelta tra rimborso in denaro e voucher dunque non è rimessa al viaggiatore-consumatore e questo pone dubbi circa la compatibilità delle misure emergenziali con la normativa sopra analizzata.
È chiaro infatti che le due modalità di rimborso non possono essere considerate sovrapponibili e ciò, banalmente, perché il consumatore – per esigenze o scelte personali – potrebbe non essere in grado di avvalersi del voucher entro l’anno.
Ma, al di là di riflessioni atecniche, sono le stesse norme alla base della materia a suggerire una soluzione diversa rispetto a quella adottata dal nostro Esecutivo.
L’art. 41 del Codice del Turismo di cui sopra, che si riferisce proprio alle circostanze inevitabili e straordinarie che stiamo vivendo, non prevede alcuna possibilità per l’organizzatore di alterare il rimborso integrale. Lo stesso, come si diceva, è ribadito dall’art. 12 della direttiva 2015/2302/UE relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati.
E questo vale per il caso in cui il recesso venga azionato dal viaggiatore, ma se ad azionarlo è l’organizzatore, quest’ultimo è certamente tenuto a restituire le somme già ricevute dal cliente, non potendole trattenere indebitamente.
Per quanto riguarda i semplici contratti di trasporto, la Commissione Europea con la comunicazione del 18 marzo 2020 è stata ancora più chiara nello stabilire a chi spetta la scelta tra rimborso integrale e voucher. Per i casi di cancellazione del volo da parte del vettore si è infatti così espressa: “L’offerta di un buono da parte del vettore non può pregiudicare il diritto del passeggero di optare, in alternativa, per il rimborso”1.
Resta infine scoperta la circostanza in cui sia il viaggiatore a non voler usufruire di un volo non cancellato perché, come detto sopra, non è stata oggetto di regolamentazione da parte del legislatore europeo. Ma in un’ottica di protezione del diritto alla salute, la tutela garantita dalla normativa sui pacchetti turistici dovrebbe essere allargata anche a questo caso.
Concludendo, è evidente che una situazione di crisi come quella che siamo chiamati a vivere abbia preso alla sprovvista tutti i soggetti in gioco, dai consumatori alle compagnie di trasporto, passando per i tour operator. Ma è compito del legislatore e della giurisprudenza ridurre le conseguenze della crisi economica nell’ambito di un corretto bilanciamento tra diritti e interessi.
I consumatori hanno diritto ad optare per un rimborso immediato che permetterebbe loro di riprogrammare le proprie vacanze in piena libertà, nel rispetto del diritto alla salute e senza condizionamenti dovuti alla “spada di Damocle” delle restrizioni che potrebbero cambiare repentinamente. Al tempo stesso le compagnie di trasporto e i tour operator non possono essere lasciati privi di garanzie economiche, in mancanza di introiti commerciali.
In questa fase emergenziale, aprire la strada ad aiuti di Stato per le imprese in difficoltà – come già peraltro sta accadendo per alcuni vettori europei –, evitando che siano i consumatori a sopportare direttamente il peso della crisi, potrebbe essere una prima soluzione, seppur a livello macroeconomico.
Più nel dettaglio, aumentare la durata di utilizzo dei voucher potrebbe essere una buona soluzione di compromesso, considerando che uno dei principali problemi rimane, ad oggi, l’assenza di previsioni affidabili sui tempi della pandemia.
Nel frattempo, la giurisprudenza che probabilmente verrà chiamata a livello nazionale ed europeo ad esprimere il proprio giudizio sulle singole questioni, dovrebbe garantire piena protezione ai consumatori sulla base di norme vigenti che sembrano lasciare poco spazio ad interpretazioni.
1)Commissione Europea, Orientamenti interpretativi relativi ai regolamenti UE sui diritti dei passeggeri nel contesto dell’evolversi della situazione connessa al Covid-19, pag. 3, Bruxelles, 18 marzo 2020.