Rebus sic stantibus è la regola del diritto che disciplina la sorte dei contratti stipulati prima della pandemia: non occorre scomodare la costituzione perché il principio è insito nel codice civile all’art. 1467 il quale disciplina le sorti del contratto nell’ipotesi di fatti imprevisti e sopravvenuti. Lo ha ricordato pochi giorni fa a noi giuristi (e non solo) Natalino Irti, professore emerito di diritto civile presso l’Università La Sapienza di Roma, in una bella intervista rilasciata al Corriere della Sera e pubblicata forse in maniera non casuale sulla pagina di apertura della sezione Economia del quotidiano.
La lezione del professor Irti suona come un monito di fronte a certi dubbi interpretativi degli ultimi tempi nonché all’eccesso di norme che sono state emanate dalla dichiarazione dello stato di emergenza e delle quali si è ormai quasi perso il conto.
L’inutilità di certe norme
Invece il legislatore – appunto senza una reale necessità – ha pensato bene di stabilire che certe norme del codice civile vanno applicate, nemmeno la pandemia avesse determinato la sospensione del codice civile. Nel Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34 si legge all’art. 216 comma 3 che “La sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei citati decreti legge 23 febbraio 2020, n. 6 e 25 marzo 2020, n. 19, è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile (…) quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell’assetto pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati.”
A ben vedere, la norma si inserisce in un trend inaugurato, a livello di fonti avente efficacia di legge – con il Decreto Legge del 2 marzo 2020, n. 9 che stabilisce all’art. 28 che: “Ai sensi e per gli effetti dell’art. 1463 del codice civile, ricorre la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta in relazione ai contratti di trasporto (…)” e, in seguito, proseguito con il Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 che:
- all’art. 88 prevede che “… ai sensi e per gli effetti dell’art. 1463 del codice civile, ricorre la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta in relazione ai contratti di acquisto di titoli di accesso per spettacoli di qualsiasi natura (…), e di biglietti di ingresso ai musei e agli altri luoghi della cultura”,
- all’art. 88bis riprende in maniera quasi del tutto pedissequa il contenuto del citato art. 28 del Decreto Legge n. 9 e
- all’art. 91, curiosamente rubricato “Disposizioni in materia di ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici” integra – con finalità, oseremmo ironicamente definire, salomoniche – l’art. 3 del Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6 con una norma che così recita: “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze e penali connesse a ritardati o omessi inadempimenti.” (per completezza corre l’obbligo di precisare che il citato art. 3 del Decreto Legge n. 6 non è una disposizione dedicata agli appalti pubblici, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe dalla rubrica dell’art. 91 del Decreto Legge n. 18; la sciatteria del legislatore non è però oggetto di queste considerazioni).
Non è scevro da questa esigenza impellente di ricordare che il codice civile è tuttora in vigore nemmeno il Capo di Dipartimento della Protezione Civile che già in data 29 febbraio 2020 – con qualche giorno di anticipo sul governo e, dunque, vero inauguratore del citato trend – stabilisce nell’ordinanza n. 642 che: “In ragione del grave disagio socio economico derivante dall’evento in premessa, detto evento costituisce causa di impossibilità temporanea della prestazione non imputabile al debitore ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1218 del Codice civile.”
Era veramente necessario? Sommessamente viene da rispondere in maniera negativa, posto che come sopra ricordato non ci consta una sospensione degli effetti del codice civile.
Le conseguenze
L’eccesso di regolamentazione che abbiamo analizzato purtroppo, lungi dal chiarire i dubbi interpretativi, li intensifica.
Tornando alla sopra citata norma in tema di palestre, piscine e centri sportivi occorre ricordare che il comma 3 dell’art. 216 del Decreto Legge n. 34 continua stabilendo che: “In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito.”
La prima domanda che sorge è: perché? A pensar male verrebbe da dire che la lobby dei proprietari degli edifici che ospitano impianti sportivi abbia ottenuto la norma appena citata perché, in base al codice civile, ad impossibilità temporanea della prestazione (in questo caso, utilizzo dell’immobile per i fini convenuti e intrinseci negli edifici che ospitano impianti sportivi) corrisponde la temporanea non debenza della controprestazione (pagamento del canone): dunque, tutto il canone e non il 50% o il “diverso ammontare a cura della parte interessata” (salvo che ciò non significhi nessun canone posto che gli impianti sportivi sono stati chiusi: prova finanche facile da fornire).
Viene anche da pensare: e i conduttori di tutti gli altri immobili a destinazione non abitativa che hanno dovuto interrompere la propria attività per i divieti imposti durante il lockdown? Devono pagare il canone anche per i mesi di chiusura? O possono non pagarlo in virtù dei principi del codice civile? A sommessa opinione di chi scrive il canone non è dovuto perché, in base ai principi del codice civile, la causa concreta perseguita dalle parti quando hanno stipulato il contratto di locazione e/o affitto di ramo d’azienda non ha potuto esplicarsi durante il periodo di chiusura. Impossibilità questa dovuta ad un atto dell’autorità e, dunque, senza responsabilità delle parti.
Si mettano il cuore in pace i locatori: le notizie che giungono dal Tribunale di Venezia, che recentemente ha in due diverse occasioni bloccato l’escussione di altrettante garanzie bancarie in relazione al mancato pagamento del canone di immobili ad uso non abitativo durante il lockdown, sembrano proprio deporre nel senso che il canone non sia dovuto, anche se le relative cause sono solo all’inizio.
Quanto al legislatore, oltre a far propria la lezione del professor Irti e, dunque, ricordarsi che il nostro ordinamento già contiene i principi necessari per regolare la difficile fase della nostra storia che stiamo attraversando, dovrebbe anche ispirare la propria produzione normativa ad un principio molto semplice e basilare: less is more.