Appare utile riassumere i rischi di reato che possono sorgere a carico delle imprese in relazione alla richiesta, al conseguimento e all’impiego dei finanziamenti previsti dalla normativa emanata nel recente periodo della pandemia da Covid-19.
Il Decreto Liquidità
Iniziamo con il decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. Decreto Liquidità), il quale, all’art 1 consente l’erogazione di finanziamenti “al fine di assicurare la necessaria liquidità alle imprese con sede in Italia, colpite dall’epidemia COVID-19, diverse dalle banche e da altri soggetti autorizzati all’esercizio del credito”.
Si tratta di erogazioni garantite da SACE S.p.A. e, in ultima istanza, dallo Stato.
L’importo del prestito assistito da garanzia può superare il maggiore tra i seguenti elementi:
1) 25 per cento del fatturato annuo dell’impresa relativo al 2019, come risultante dal bilancio ovvero dalla dichiarazione fiscale;
2) il doppio dei costi del personale dell’impresa relativi al 2019, come risultanti dal bilancio ovvero da dati certificati se l’impresa non ha approvato il bilancio.
L’impresa che beneficia della garanzia assume l’impegno che essa, nonché ogni altra impresa con sede in Italia che faccia parte del medesimo gruppo cui la prima appartiene, comprese quelle soggette alla direzione e al coordinamento da parte della medesima, non approvi la distribuzione di dividendi o il riacquisto di azioni nel corso dell’anno 2020.
Il finanziamento coperto dalla garanzia deve essere destinato a sostenere costi del personale, dei canoni di locazione o di affitto di ramo d’azienda, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia, come documentato e attestato dal rappresentante legale dell’impresa beneficiaria e le medesime imprese devono impegnarsi a non delocalizzare le produzioni
Il finanziamento viene concesso sulla base di una autocertificazione (dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ai sensi dell’articolo 47 DPR 445/2000), con la quale il titolare o il legale rappresentante dell’impresa richiedente, sotto la propria responsabilità, dichiara:
a) che l’attività d’impresa è stata limitata o interrotta dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 o dagli effetti derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse alla medesima emergenza e che prima di tale emergenza sussisteva una situazione di continuità aziendale;
b) che i dati aziendali forniti su richiesta dell’intermediario finanziario sono veritieri e completi;
c) che il finanziamento coperto dalla garanzia è richiesto per sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che sono localizzati in Italia;
d) che è consapevole che i finanziamenti saranno accreditati esclusivamente sul conto corrente dedicato i cui dati sono contestualmente indicati;
e) che il titolare o il legale rappresentante istante nonché i soggetti indicati all’articolo 85, commi 1 e 2 (soci, collegio sindacale e Organismo di vigilanza 231), del codice delle leggi antimafia (decreto legislativo 159/2011), non si trovano nelle condizioni ostative previste dall’articolo 67 del medesimo codice (misure di prevenzione);
f) che nei confronti del titolare o del legale rappresentante non è intervenuta condanna definitiva, negli ultimi cinque anni, per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione fiscale in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto nei casi in cui sia stata applicata la pena accessoria di cui all’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (interdizione dai pubblici uffici per i reati di cui agli artt 2, 3 e 8).
E’ importante aggiungere che, fermi restando gli obblighi di segnalazione previsti dalla normativa antiriciclaggio, “per la verifica degli elementi attestati dalla dichiarazione sostitutiva prevista dal presente articolo il soggetto che eroga il finanziamento non è tenuto a svolgere accertamenti ulteriori rispetto alla verifica formale di quanto dichiarato”.
Tale ultima disposizione si applica anche alle dichiarazioni sostitutive allegate alle richieste di finanziamento e di garanzia effettuate ai sensi dell’articolo 13 che prevede un regime speciale per le imprese con numero dipendenti non superiore a 499 e permette l’erogazione di nuova finanza tramite il fondo di garanzia delle PMI.
Profili penali
I – Richiesta/concessione del finanziamento
Nelle ipotesi di finanziamenti ottenuti attraverso la presentazione di richieste con contenuto non veritiero, oltre alla configurabilità del reato di falso in autocertificazione, sono ipotizzabili i delitti di cui agli artt. 316-ter (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato) e 640-bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) c.p.
La falsità dell’autodichiarazione del percipiente resta assorbita nell’incriminazione ex art. 316-ter c.p. in quanto mero strumento dell’indebita percezione.
II – Erogazione/impiego del finanziamento
L’intervento sanzionatorio penale dell’eventuale fatto distrattivo può incardinarsi su diverse fattispecie: da un lato quelle di bancarotta, dall’altro quelle riconducibili alle figure della truffa aggravata o degli artt. 316-bis o 316-ter c.p. ovvero (in seconda battuta) del riciclaggio o dell’autoriciclaggio.
Tuttavia, i reati di bancarotta non sono adeguati allo scopo in quanto, condizionati dalla dichiarazione di fallimento, dispiegano efficacia quando ormai la dispersione delle risorse si è interamente compiuta e non permettono atti d’indagine potenzialmente idonei a interrompere la realizzazione delle condotte distrattive in itinere (in questo senso, di recente, Mucciarelli).
Maggiormente utili le altre fattispecie menzionate.
Va evidenziata, in particolare, la configurabilità dei delitti di riciclaggio (art 648-bis c.p.) ed autoriciclaggio (art 648-ter.1 c.p.), che possono seguire la condotta distrattiva.
Se il finanziamento garantito dallo Stato non venisse qualificato come finanziamento pubblico, i reati sarebbero configurabili nei confronti della banca (truffa e appropriazione indebita in primis).
Tali fattispecie non costituiscono reato-presupposto della responsabilità dell’ente ai sensi del d.lg. 231/2001.
Il Decreto Rilancio
Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34.
Viene previsto un “contributo a fondo perduto” (art. 25), “al fine di sostenere i soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica Covid-19” e riconosciuto “a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa e di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA” (sono previste esclusioni sulla base di limiti di reddito).
Il contributo, il cui importo minimo è pari a 1000 euro per le persone fisiche e a 2000 euro per le persone giuridiche, è calcolato sulla base di criteri calcolo che fanno riferimento alla differenza tra l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 e l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019.
Il contributo è erogato a seguito di istanza all’Agenzia delle Entrate, comprensiva di una “autocertificazione di regolarità antimafia” nella quale si attesta l’insussistenza delle condizioni ostative di cui all’art. 67 d.lgs. n. 159/2011 (Codice antimafia), cioè di non essere sottoposto a misure di prevenzione o a procedimento di prevenzione.
Per l’attività di controllo si richiama il Libro II del Codice antimafia, prevedendo che, in caso di successiva emersione di cause ostative, l’Agenzia delle Entrate provveda al recupero del contributo.
Profili penali
L’art. 25, comma 9 configura come delitto, punito con la reclusione da due a sei anni, il fatto di “colui che ha rilasciato l’autocertificazione di regolarità”.
Ove fosse mancata tale fattispecie, il fatto avrebbe integrato il delitto di cui all’art. 495 c.p. (“Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o altrui”), punito meno severamente nel minimo (un anno di reclusione) e con la medesima pena (sei anni di reclusione) nel massimo.
Ai sensi dell’art. 25, comma 14, poi, “nei casi di percezione del contributo in tutto o in parte non spettante si applica l’articolo 316-ter del codice penale”; è cioè configurabile – salvo che il fatto costituisca il più grave reato di truffa ex art. 640 bis c.p. – il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, sempre che la somma percepita si superiore a 3.999,96 euro (altrimenti sarà configurabile un illecito amministrativo punito con la sanzione pecuniaria da 5.164 a 25.882 euro, che non potrà comunque essere superiore al triplo del contributo erogato).
Un problema che potrebbe porsi, in caso di contributi di importo superiore a 3,996,96 euro, è quello del concorso tra il menzionato delitto di falso e il delitto di cui all’art. 316 ter c.p., nella forma tentata (qualora il contributo non sia stato erogato) o consumata (in dottrina: Gatta).
Le Sezioni Unite (16 dicembre 2010, n. 7537), hanno, peraltro, escluso tale concorso:
“Il reato di falso di cui all’art. 483 cod. pen. resta assorbito in quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato in tutti i casi in cui l’uso o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscano elementi essenziali di quest’ultimo, pur quando la somma indebitamente percepita o non pagata dal privato, non superando la soglia minima di erogazione – euro 3.999,96 -, dia luogo a una mera violazione amministrativa”.
Va segnalato che l’art. 25, comma 9, dopo aver configurato il predetto delitto di falso, prevede che in caso di erogazione del contributo, ottenuta mediante la falsa autocertificazione, si applica la confisca, anche per equivalente, di cui all’art. 322-ter c.p.
Il d.l. n. 34/2020 sembra pertanto prevedere la confisca come sanzione correlata al delitto di falso e non già al delitto di cui all’art. 316-ter c.p., in rapporto al quale peraltro la confisca ex art. 322-ter c.p. è comunque applicabile.
Rapporto tra indebita percezione di erogazioni e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche
Cass. pen., II, sentenza n. 47064 del 13 ottobre 2017:
Il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter cod. pen.) differisce da quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis cod. pen.) per la mancanza, nel primo reato, dell’elemento dell’induzione in errore attraverso la messa in atto di artifici e raggiri. (In applicazione di questo principio la S.C. ha configurato il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. anziché quello di truffa, in una fattispecie in cui all’imputato era contestata solamente la mancata comunicazione all’I.N.P.S. del proprio trasferimento all’estero, fatto implicante la perdita del diritto all’assegno sociale).
Cass. pen., VI, sentenza n. 8707 del 21 febbraio 2013:
Integra il delitto previsto dall’art. 316-ter c.p. la condotta del soggetto che consegue un contributo agricolo omettendo di informare l’ente concedente di essere sottoposto a misura di prevenzione antimafia per effetto di decreto divenuto irrevocabile
Rapporto tra indebita percezione di erogazioni e falso dichiarativo
Cass. pen., V, sentenza n. 18081 del 12 maggio 2010:
Integra il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.) – e non quello di cui all’art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) – la condotta di colui che presenti ad un istituto previdenziale (nella specie INPDAP) istanza per ottenere l’erogazione di un mutuo agevolato corredandola con autocertificazione attestante falsamente la destinazione della somma richiesta a spese di ristrutturazione, trattandosi di contributi economico finanziari a sostegno della economia e dell’incentivazione di attività produttive erogati da un ente pubblico, che rientrano nel novero delle erogazioni di cui all’art. 316 ter c.p. Ne deriva che, in tal caso, il reato di cui all’art. 483 c.p. risulta assorbito nella fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p. che ne contiene tutti gli elementi costitutivi, dando così luogo ad un reato complesso.
Rapporto tra indebita percezione di erogazioni e malversazione
Per quanto riguarda il concorso con il reato di cui all’art. 316-bis, si ricordi che l’indebita percezione opera in una fase distinta da quella in cui può essere commesso il reato di malversazione, vale a dire in quella della richiesta dei contributi e non in quella della loro successiva utilizzazione.
I due reati possono pertanto concorrere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.
Profili di responsabilità degli enti – d.lg. 231/2001
I reati menzionati sono reati-presupposto della responsabilità dell’ente collettivo.
Art. 24 (Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico)
1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 316-bis, 316-ter, 640, comma 2, n. 1, 640-bis e 640-ter se commesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico, del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.
2. Se, in seguito alla commissione dei delitti di cui al comma 1, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità, si applica la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote.
3. Nei casi previsti dai commi precedenti, si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e).
Da aggiungere che si tratta di ipotesi nelle quali il reato si perfeziona al momento dell’erogazione del finanziamento che avviene a distanza di tempo dalla richiesta.
Il sistema di controllo interno dell’ente (procedure – controlli, ivi compreso quelli dell’OdV) potrebbe intercettare la falsità della richiesta e consentire la revoca della stessa (id est: impedire la consumazione del reato).
Di conseguenza, potrebbe entrare in gioco l’esimente ex art 26 comma 2 d.lg. 231:
L’ente non risponde quando volontariamente impedisce il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento.