Collocandosi sulla scia delle previsioni già adottate con il decreto “Cura Italia”, il decreto Rilancio ha espressamente disposto delle misure a sostegno del mondo dello sport, con particolare riferimento al tema legato agli impianti sportivi.
In particolare, l’art. 216 del decreto Rilancio ha non solo esteso la scadenza per il versamento dei canoni concessori relativi all’affidamento di impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti territoriali, ma ha pure ampliato l’ambito di applicazione della norma ad ulteriori rapporti contrattuali.
Cerchiamo dunque di fare chiarezza su quali misure siano state previste e, soprattutto, a favore di quali soggetti.
A tale ultimo proposito, l’art. 216 del decreto Rilancio richiama espressamente l’art. 95 del decreto Cura Italia e quindi – indirettamente – anche i soggetti ivi nominati come destinatari delle agevolazioni, vale a dire associazioni e società sportive, sia professionistiche che dilettantistiche, Federazioni Sportive Nazionali ed Enti di Promozione che operano sull’intero territorio nazionale: sembrerebbe quindi esclusa l’applicabilità delle misure previste dal suddetto articolo a soggetti privati ovvero a società commerciali che si occupino di attività sportiva, ad esempio palestre, piscine o simili.
Chiarito l’ambito di applicazione soggettivo della norma, esaminiamo quindi le misure di cui i suddetti soggetti possono beneficiare.
I primi due commi dell’art. 216, come sopra già accennato, si applicano in relazione a rapporti di concessione di impianti sportivi dello Stato o di altri enti territoriali.
Seguendo il solco già tracciato dall’art. 95 del decreto Cura Italia, tali commi prevedono che i canoni concessori relativi all’affidamento dei suddetti impianti sportivi possano essere sospesi fino al 30 giugno 2020, senza applicazione di sanzioni e interessi. Tali canoni dovranno essere versati o in unica soluzione entro il 31 luglio 2020 o mediante rateizzazione – fino a un massimo di 4 rate mensili di pari importo – a decorrere dal mese di luglio 2020.
Il secondo comma del suddetto articolo lascia trasparire la consapevolezza del legislatore circa la necessità di un riequilibrio delle condizioni contrattuali, in ragione della prolungata sospensione delle attività sportive, nonché delle necessariamente mutate modalità di svolgimento delle stesse. È espressamente previsto, infatti, che le parti possano concordare tra loro, ove il concessionario ne faccia richiesta, la revisione dei rapporti in scadenza entro il 31 luglio 2023, mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio economico-finanziarie originariamente pattuite, anche attraverso la proroga della durata del rapporto, in modo da favorire il graduale recupero dei proventi non incassati e l’ammortamento degli investimenti effettuati o programmati.
Qualora le parti non riescano a raggiungere un accordo ritenuto adeguato ed equo, entrambe avranno la facoltà di recedere liberamente dal rapporto di concessione.
Tale ultima facoltà non viene concessa alle associazioni e società sportive che siano parte di un rapporto di locazione per impianti sportivi di privati, ivi incluse palestre, piscine e simili.
In relazione a tali fattispecie, il terzo comma dell’art. 216 prevede che la sospensione dell’attività sportiva sia sempre valutata quale fattore di sopravvenuto squilibrio del rapporto contrattuale; è direttamente il legislatore a stabilire un possibile strumento di riequilibrio, vale a dire una riduzione dei canoni di locazione da marzo a luglio 2020, nella misura non inferiore al 50%, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata.
Pertanto, il conduttore-società sportiva ha sicuramente uno strumento forte dalla sua parte – una riduzione di canone che il legislatore stesso riconosce come equa – ma non ha la facoltà concessa al suo omologo che sia parte di un rapporto di concessione di impianto sportivo di proprietà dello stato, vale a dire la possibilità di recedere dal contratto.
Alla luce della relativa relazione illustrativa, appare evidente che per il legislatore l’assegnazione di un rimedio conservativo, in luogo di quello risolutivo, sia risultato preferibile in ragione della peculiarità dell’attività coinvolta, ossia quella sportiva.
Infatti, la società sportiva – ci dice il legislatore – ha comunque interesse a mantenere in vita il contratto, vista la specificità ubicativa dell’impianto sportivo e del serio rischio di non riuscire a svolgere la propria attività altrove, così come è certo che il locatore subisce sì un pregiudizio, che però non riuscirebbe ad evitare nemmeno nel caso in cui stipulasse un nuovo contratto con l’attuale situazione di mercato.
Ad avviso di chi scrive, il ragionamento operato dal legislatore è solo in parte corretto, considerato che anche in questo caso avrebbe dovuto essere concesso un possibile rimedio risolutorio.
Infatti, se è vero che la sospensione delle attività sportive ha generato uno squilibrio nei rapporti di locazione di palestre e piscine, non può certo pensarsi che un completo riequilibrio possa essere ottenuto esclusivamente con una riduzione del 50% di cinque mensilità di canone. Tale misura è – al più – la proverbiale “boccata di ossigeno”.
Infatti, il Covid-19 ha impattato sulle attività sportive non solo nel momento in cui queste sono state sospese, ma continua a farlo anche adesso che vi è stata una ripresa: si pensi, solamente, ai maggiori costi legati alla necessaria fornitura di dispositivi di protezione individuale, nonché alla minore capacità di accogliere clientela ed i conseguenti minori incassi.
Visti gli ingenti costi che tali soggetti devono affrontare ed il radicale mutamento delle modalità di svolgimento delle attività sportive, non è da escludere che un’associazione, che magari operi su più locali, possa preferire abbandonarne alcuni, in modo tale da tagliare i costi e sopravvivere al periodo più grave della crisi.
Si ritiene quindi che un rimedio risolutorio avrebbe potuto essere utile in tal senso, in quanto avrebbe fornito al conduttore una modalità più agile di sciogliersi dal vincolo contrattuale o, quantomeno, un’ottima arma da spendere in una rinegoziazione dei termini economici con il locatore.
Da ultimo, il quarto comma dell’art. 216 prevede una misura diretta a regolare ed agevolare il rapporto associazioni e società sportive e consumatori, stabilendo che la sospensione dell’attività sportiva ha determinato la sopravvenuta impossibilità della prestazione in relazione ai contratti di abbonamento di palestre, piscine ed impianti sportivi di ogni tipo. Alla luce di ciò, il consumatore potrà presentare istanza di rimborso per le somme eventualmente già corrisposte in riferimento al periodo di sospensione dell’attività sportiva.
Ciononostante, il gestore dell’impianto avrà la facoltà di rilasciare, in alternativa al rimborso, un voucher di pari valore incondizionatamente utilizzabile presso la stessa struttura entro un anno dalla cessazione della sospensione dell’attività sportiva.