Nell’ultimo periodo, numerosi quotidiani e programmi di informazione hanno dedicato particolare attenzione al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), discutendo nello specifico sull’opportunità di attivarlo per far fronte alla crisi economica innescata dalla diffusione della pandemia. A tal riguardo, sorge spontaneo chiedersi: in cosa consiste il MES? Quali sono le sue caratteristiche? Perché la sua potenziale attivazione ha dato luogo a numerosi dibattiti?
Per rispondere a tali interrogativi, è necessario comprendere innanzitutto in quale contesto è stato istituito il MES e quali sono le sue funzioni.
Il Meccanismo Europeo di Stabilità, conosciuto anche come “Fondo salva-Stati”, è un’organizzazione internazionale a carattere regionale fondata dagli Stati membri dell’Eurozona con l’obiettivo di dare sostegno ai Paesi che versano in situazioni di difficoltà finanziarie.
L’idea di istituire il c.d. Fondo salva-Stati si è sviluppata a partire dal 2010 allorquando, nonostante alcuni Stati membri dell’Ue si trovassero sull’orlo del crollo finanziario, risultava impossibile per le istituzioni europee fornire loro assistenza dato il disposto dell’art. 123 del TFUE. Questa disposizione, infatti, per evitare che gli Stati membri si indebitino in modo eccessivo nella convinzione di poter contare sugli aiuti provenienti dagli altri Paesi, proibisce agli Stati Membri e alla Banca Centrale Europea di soccorrere i Paesi in difficoltà.
Tuttavia, si trattava di un periodo particolare, in quanto l’economia globale stava attraversando una profonda crisi e per numerosi Paesi iniziava a manifestarsi il rischio di default. Per queste ragioni, il 2 febbraio del 2012 i Paesi dell’Eurozona hanno deciso di istituire, con un Trattato affiancato ma non incluso nei Trattati UE, una nuova organizzazione internazionale denominata Meccanismo Europeo di Stabilità.
Quanto al suo funzionamento, il Meccanismo Europeo di Stabilità, costituito da un fondo avente un capitale sottoscritto di 704,8 miliardi di euro, può concedere prestiti agli Stati dell’Eurogruppo in situazioni di crisi economica, come già accaduto ad esempio con Cipro (€6,3 miliardi), Grecia (€61,9 miliardi) e Spagna (€41,3 miliardi).
La concessione del prestito, però, è subordinata ad una rigida condizionalità: in concreto, il Paese beneficiario si obbliga ad adottare un Memorandum d’intesa che definisce con precisione le misure da attuare in tema di diminuzione del debito e indica le modalità e le tempistiche per la restituzione del prestito. L’approvazione del Memorandum e la conseguente erogazione del sostegno finanziario vengono votati dal Consiglio dei Governatori del MES, composto dai 19 Ministri delle Finanze degli Stati membri dell’Eurozona.
Tale condizione rappresenta l’aspetto maggiormente criticato del MES. Si teme, in particolare, che la concessione del prestito possa determinare la stretta sorveglianza di Bruxelles e l’imposizione di stringenti prescrizioni, com’è avvenuto in passato con la Grecia, sottoposta alle misure di austerity.
Un ulteriore elemento problematico del “Fondo salva-Stati” è legato alle risorse finanziare immediatamente disponibili per far fronte alla crisi economica, le quali, come sottolineato dal Fondo Monetario Internazionale, non sono sufficienti a soddisfare le richieste di assistenza finanziaria provenienti da tutti i Paesi colpiti dalla crisi.
Tali limitazioni hanno indotto gli Stati membri dell’Eurogruppo ad abbandonare, almeno per il momento, l’idea di attivare il MES e a predisporre la creazione di una diversa linea di credito denominata Recovery Fund, che presenta una diversa dotazione finanziaria e condizioni apparentemente meno rigide e che, proprio per queste sue caratteristiche, è stato fortemente osteggiato dai Paesi del nord Europa.
Ciononostante, gli esperti dubitano che il Recovery Fund sia uno strumento adeguato a rimediare, nel lungo periodo, alle conseguenze dell’attuale crisi economica. In molti ritengono che, anche in seguito all’attivazione della nuova linea di credito, sarà necessario in futuro ricorrere al MES in ogni caso, poiché, malgrado i suddetti aspetti critici, esso sembrerebbe essere l’unico strumento in grado di assicurare la stabilità finanziaria e il bilanciamento degli interessi di tutti gli Stati dell’Eurozona, sia dei c.d. Paesi frugali che degli Stati dell’Europa Mediterranea.