L’ultimo NFT Yearly Report stima che dal 2018 al 2020 la capitalizzazione del mercato NFT – acronimo di Non Fungible Token – sia aumentata di otto volte, passando da 40,9 milioni a oltre 338 milioni di dollari, e pare che tale cifra sia destinata a superare 1,3 miliardi di dollari nel 2021.

Benché i suddetti numeri non si riferiscano soltanto al settore dell’arte, indubbiamente alla crescita contribuiscono le opere digitali vendute negli ultimi mesi tramite la predetta modalità, la c.d. “Crypto-art”, attraverso sistemi di blockchain.

Uno dei primi esempi di utilizzazione della suddetta tecnologia non era legato al mondo dell’arte, quanto meno inteso in senso stretto: nel 2017, infatti, è stato lanciato il gioco “CryptoKitties” in cui era possibile acquistare gattini virtuali sulla blockchain di Ethereum per poi “allevarli” e addirittura “farli accoppiare” fra loro per generare nuovi gattini da rivendere (alcuni dei quali per cifre superiori ai 150 mila dollari); gattini sempre unici e legati a uno smart contract. Il successo del gioco è stato tale che rischiò di compromettere la stabilità della stessa rete Ethereum, arrivando ad impiegare il 95% delle risorse.

Di recente, Sir Tim Berners-Lee, il padre del World Wide Web ne ha messo all’asta il codice sorgente, scritto tra il 3 ottobre 1990 ed il 24 agosto 1991, come non-fungible token, comprensivo di oltre 10 mila righe di codice, pagine web di esempi, una lettera che illustra la tecnologia ed un “poster” del codice creato con il noto linguaggio di programmazione Python: il lotto è stato aggiudicato per oltre 5,4 milioni di dollari.

Ancora, Jack Dorsey, fondatore di Twitter, ha deciso di mettere all’asta il primo tweet della storia (ovviamente suo), venduto per 2,9 milioni di dollari.

Un video della schiacciata del noto cestista LeBron James è stato venduto in NFT per 208 mila dollari. Arte? Forse. Fatto sta che ormai è divenuta celebre l’opera d’arte digitale “Everydays – The First 5000 Days”, un collage di cinquemila opere digitali realizzate (una al giorno) da Beeple, pseudonimo dell’artista statunitense Mike Winkelmann, bandita all’asta da Christie’s per oltre 69 milioni di dollari: non solo si tratta di una cifra record (basti pensare che nel 2014 una delle celebri Ninfee di Monet venne venduta a 54 milioni di dollari) ma anche per il fatto che la nota casa d’aste ha accettato il pagamento in cripto valuta da parte dell’acquirente Vignesh Sundaresan, noto con lo pseudonimo Metakovan, proprietario di Metapurse, il più grande fondo di NFT al mondo.

Ma cosa si intende con l’espressione “crypto arte”? Pare che il primo a definirla sia stato, il 19 gennaio 2018, Jason Bailey, Founder di Artnome, secondo il quale si tratta di “… opere d’arte digitali associate a token unici e dimostrabilmente rari che esistono sulla blockchain sotto forma di NFT. Il concetto si basa sull’idea di scarsità digitale che consente di acquistare, vendere e scambiare beni digitali come se fossero beni fisici. Questo sistema funziona perché – come i bitcoin o altre cryptovalute – la crypto arte esiste in quantità limitata”.

Ad ogni modo, per tornare all’esempio, nonostante la descrizione del collage di Beeple sulla pagina web dell’asta online indicasse che “Questo lavoro è unico”, le 5.000 opere incluse in “Everydays” sono anche caricate sul sito web di Beeple e possono essere liberamente consultate in qualsiasi momento da chiunque abbia una connessione Internet. Cosa spinge dunque gli investitori a sborsare somme notevoli per un’opera liberamente accessibile composta da “solo” immagini digitali?

Per comprendere la dinamica del fenomeno, sicuramente in ascesa esponenziale e non solo nel settore artistico, pare opportuno fare qualche passo indietro per comprendere la tecnologia alla base dei NFT. Inoltre, dato il rapido aumento di popolarità e la natura complessa dei NFT, diverse questioni legali rimangono aperte e quindi creano insicurezza per i partecipanti al mercato.

Cosa sono gli NFT?

Come accennato, NFT sta per non-fungible token (letteralmente, “gettone non fungibile”).

I token possono essere fungibili (FT) oppure non fungibili (NFT): i Bitcoin, la cripto valuta più nota, sono per definizione fungibili, trattandosi di moneta interscambiabile. Viceversa, un NFT è unico, non è replicabile ma è scambiabile (si può comperare e si può vendere). L’unicità del NFT è scritta nei metadati del token stesso e pertanto è inalterabile e permanente, divenendo, di fatto, un certificato di autenticità rispetto all’oggetto digitale ma staccato da esso.

In sostanza, un oggetto digitale (un’immagine, un video, un tweet, ecc.), astrattamente replicabile per un numero indefinito di volte, diventa unico grazie al token non fungibile attraverso il processo di “hashing” all’interno una blockchain. Il dato digitale, infatti, altro non è, da un punto di vista informatico, che una sequenza di numeri; il processo di hashing consente, attraverso appositi algoritmi, di comprimere tale sequenza sino a crearne una molto più breve, chiamata hash, con un livello di integrità e sicurezza estremamente elevato: soltanto chi possiede il documento digitale può facilmente calcolarne l’hash, mentre ricostruire un documento digitale partendo dall’hash è quasi impossibile e comunque antieconomico, rendendo il sistema degli hash uno strumento estremamente valido nei processi di autenticazione e crittografia.

L’hash viene dunque memorizzato all’interno di una blockchain, una catena di blocchi informatici concatenati, condivisi e fissi, che non dipendono da un singolo soggetto ma sono mantenuti in essere grazie a numerosi nodi della rete (che vengono retribuiti per questo). È una sorta di registro digitale immodificabile e non cancellabile (a meno di pregiudicare l’intera struttura) i cui dati non possono essere alterati in maniera retroattiva senza che vengano modificati tutti i blocchi successivi.

La blockchain, nel caso dei NFT, conserva la storia del token grazie all’utilizzo di metadati che, in quanto duplicati infinite volte su computer sparsi nel pianeta, non rischiano di venire contraffatti.

Del pari a quanto previsto dall’art. 64 del Codice dei beni culturali e del paesaggio che prevede, per i venditori ed intermediari, l’obbligo di consegnare, all’acquirente di un’opera d’arte, la documentazione che ne attesti l’autenticità, o almeno la probabile attribuzione, e la provenienza, l’NFT consente di certificare come autentiche le copie dell’opera digitale rilasciate ufficialmente dall’artista e di tracciarne i relativi scambi.

In questo modo, i NFT includono le informazioni necessarie per identificare in modo univoco il titolare dei diritti corrispondenti, in modo trasparente e visibile a tutti.

Ad ogni token corrisponde uno smart contract, un protocollo informatico destinato a compiere azioni programmate al verificarsi di certe condizioni definite ex ante: gli smart contract vengono replicati e distribuiti in tutti i server della blockchain ed eseguono solo le azioni per cui sono stati progettati, quando requisiti predeterminati sono stati soddisfatti.

Cosa possono contenere gli NFT?

Grazie alla struttura delle blockchain compatibili con i NFT, è possibile aggiungere metadati ai token, come stringhe di testo che descrivono la risorsa sottostante o anche una piccola immagine. L’opera d’arte in sé, tuttavia, di solito non è memorizzata sulla blockchain, ma rimane “off-chain“, poiché le capacità di archiviazione “on-chain” sono limitate e l’inclusione delle informazioni di un file digitale può causare costi elevati durante il processo di creazione di NFT. E ciò, a ben pensare, può apparire paradossale: l’oggetto sottostante al NFT, l’opera vera e propria, potrebbe non essere nemmeno incorporato nella blockchain e l’acquirente diventa proprietario dei metadata dell’opera conservati su blockchain, che riportano il nome dell’opera ed una descrizione dell’opera. L’opera in quanto tale rimane circolante in rete ed il proprietario acquista il diritto di potersi vantare della proprietà (c.d. bragging right). In sostanza, l’oggetto compravenduto non è l’opera digitale in sé, ma il relativo token che la identifica: ciò che si acquista è il certificato di autenticità.

È interessante rilevare che i NFT possono anche contenere le condizioni per la rivendita di opere d’arte sul mercato secondario. Attraverso gli smart contract, gli artisti possono attestarsi quali beneficiari di ogni futura vendita e ricevere automaticamente una quota fissa ogni volta che l’opera viene rivenduta.

Dal momento che l’opera d’arte digitale è teoricamente riproducibile all’infinito, grazie ai NFT è dunque possibile dotare l’opera di un’identità individuale, creando così “originali” verificabili che possono essere scambiati come parti di un’edizione limitata, in modo da aumentare la concorrenza tra i potenziali acquirenti per “possedere” un’opera autorizzata dell’artista.

Implicazioni giuridiche

L’accordo di trasferimento tra le parti dovrà contemplare, oltre agli aspetti relativi all’opera d’arte in sé, anche agi aspetti relativi alla cessione del token. In Europa non esiste ancora un approccio uniforme, con differenze in termini di terminologia e classificazione giuridica.

Sebbene non si possa negare l’aspetto di investimento delle NFT che rappresentano opere d’arte digitali, in particolare in correlazione all’attuale sviluppo sui mercati delle cripto valute, tali NFT non presentano i necessari parallelismi che giustificherebbero l’applicazione della legge sui titoli finanziari in quanto i non-fungible token stabiliscono il loro valore attraverso la loro unicità, come implica il loro nome. Allo stato, pertanto, prevalgono le norme privatistiche, con tutto ciò che ne consegue, e la mancanza di una gestione organizzata dello strumento può provocare notevoli criticità.

Mentre l’opera d’arte sottostante può richiedere la protezione ai sensi della legge sul diritto d’autore, il processo di creazione di NFT, denominato “conio”, non contiene alcun aspetto di creatività poiché segue un formato di codifica predeterminato per inserire informazioni in una blockchain.

Ciò nonostante, gli NFT consentono la tracciabilità dell’opera e del relativo titolare e, come accennato, gli smart contract consentono agli autori di prevedere una royalty di rivendita predeterminata che viene automaticamente applicata a qualsiasi successiva. Gli artisti possono anche prevedere di rinunciare ai diritti patrimoniali in vista, ad esempio, della partecipazione ad eventuali proventi di vendita futuri garantiti tramite smart contract (non a caso alcuni artisti digitali hanno concesso le loro opere creative sotto licenze creative commons, consentendo così l’uso gratuito delle loro opere e le modifiche derivate all’originale, come ha fatto lo stesso Beeple: https://www.beeple-crap.com/vjloops).

Permangono tuttavia le perplessità alla luce dei segnalati casi di violazione del diritto d’autore e frode  che sfruttano il fatto che una NFT può essere praticamente collegata a qualsiasi risorsa o set di dati off-chain, senza la necessità di dimostrare la proprietà o i diritti d’autore relativi all’oggetto sottostante: come ricordato, infatti, l’informazione attendibile inerente a una NFT si estende solo a ciò che si trova sulla blockchain, ovvero la catena di transazioni e i metadati che collegano la NFT a un asset conciso e non attesta automaticamente l’originalità dell’opera in sé poiché, con l’acquisto di un NFT, i diritti d’autore corrispondenti non vengono trasferiti automaticamente. Di conseguenza, analogamente a ciò he accade nel caso in cui venga acquistata un’opera d’arte tangibile, anche il perimetro dei diritti d’autore che vengono trasferiti insieme ai NFT deve essere opportunamente regolamentato in sede contrattuale.

Conclusione

Gli NFT consentono a collezionisti ed investitori di arte digitale di raggiungere l’originalità della copia, a dispetto della disponibilità infinita dell’opera per il pubblico, ma ci sono questioni essenziali, come il rapporto tra NFT e titolo di proprietà dell’opera sottostante o la possibilità che entrambi possano essere trasferiti indipendentemente, che richiedono molta cautela e l’assenza di strumenti normativi ad hoc deve essere compensata dalla previsione di tutte le relative implicazioni.

Il potenziale della tecnologia è enorme nel mercato dell’arte, costantemente afflitto da preoccupazioni di autenticità e provenienza e per il quale il collegamento ai NFT potrebbe rappresentare una soluzione trasparente, sicura ed idonea a ridurre i costi di transazione, diventando un valido strumento per censire e monetizzare la riproduzione delle opere sul web. Al punto che la stessa SIAE ha avviato un progetto innovativo, volto a costituire un sistema automatizzato per i pagamenti delle royalties agli autori musicali, basato su una banca dati inalterabile in cui i diritti d’autore vengono rappresentati come asset digitali sotto forma di NFT, con lo scopo di semplificare ed automatizzare le transazioni tra utenti ed artisti.

Articolo pubblicato su N&TPlus Diritto il 3/08/2021