Locazioni commerciali e Covid-19: quando, in quale misura e per quali periodi il conduttore ha diritto ad una riduzione del canone?
Un importante contributo che aiuta a dirimere la questione – che ha trovato svariate soluzioni, anche di segno opposto, nella giurisprudenza di merito – è giunto dal Tribunale di Torino, con un’ordinanza cautelare resa nell’ambito di un procedimento di opposizione a precetto instaurato da un conduttore avverso l’intimazione di pagamento di canoni di locazione maturati nel periodo di crisi Covid (Tribunale di Torino, Ordinanza 25 giugno 2021, Giudice Dott. Marco Ciccarelli).
Il conduttore chiedeva in giudizio che gli fosse riconosciuta una riduzione del canone di locazione, in ragione del mancato o ridotto godimento del bene locato.
Il Tribunale, attraverso un percorso argomentativo chiaro e lineare, prendendo le mosse dai motivi di opposizione sollevati da parte conduttrice, ha esaminato separatamente le eccezioni avanzate del conduttore con riferimento ai “periodi di lockdown”, in cui i provvedimenti di contrasto alla pandemia varati dal Governo hanno imposto la chiusura dell’esercizio commerciale, e quelle relative ai “periodi di squilibrio”, caratterizzati – pur in assenza di chiusure forzate – da un’alterazione significativa del sinallagma contrattuale indotta dalla pandemia e provvedimenti di contenimento adottati dalle autorità.
In relazione ai cosiddetti periodi di lockdown, il conduttore dell’esercizio deduceva l’impossibilità totale della prestazione del locatore, avente ad oggetto la concessione in godimento dell’immobile ai fini dell’esercizio dell’attività di vendita al dettaglio, con conseguente azzeramento dell’obbligo di pagare i canoni per i periodi di lockdown (ai sensi dell’articolo 1463 c.c.) o, in subordine, l’impossibilità parziale della prestazione del locatore, con conseguente diritto del conduttore ad ottenere una corrispondente riduzione della propria prestazione (ai sensi dell’articolo 1464 c.c).
A riguardo, il Tribunale ha preliminarmente rilevato come nel caso in cui lo specifico utilizzo del bene sia dedotto nell’oggetto del contratto, “l’inutilizzabilità per l’uso dedotto nel contratto coincide con l’impossibilità della prestazione”.
In particolare, veniva rilevato che, nel caso concreto, il contratto contemplava in modo espresso l’esercizio dell’attività di vendita al dettaglio quale oggetto di utilizzo dei locali concessi in godimento nonché l’elenco dei prodotti posti in vendita e dei relativi generi merceologici. Il contratto prevedeva, inoltre, l’esecuzione di rilevanti opere di “finitura e allestimento” dell’immobile a carico della parte conduttrice funzionali all’esercizio della specifica attività di vendita ivi esercitata.
Tanto premesso, il Tribunale ha rilevato che le parti hanno voluto sottolineare nel contratto “la vocazione produttiva del bene e hanno connotato la causa contrattuale in termini di maggiore specificità. E l’uso dedotto in contratto è stato indiscutibilmente inciso, nei periodi di lockdown” dai provvedimenti restrittivi adottati dalle autorità.
Pertanto, pur non potendosi accogliere, a giudizio del Tribunale, la teoria di una impossibilità totale, seppur temporanea, della prestazione del locatore, atteso che “l’immobile poteva continuare ad essere utilizzato come deposito dei prodotti del conduttore”, la fattispecie deve essere ricondotta ad una ipotesi di impossibilità parziale, di cui all’articolo 1464 c.c., “considerato che l’uso inciso dai provvedimenti restrittivi era specificamente indicato nel contratto”, dal che discende che la parte la cui prestazione è rimasta possibile ha diritto a una “corrispondente riduzione” della prestazione dovuta.
Ancora, il Tribunale ha osservato che il ricorso al citato istituto di diritto generale dei contratti – segnatamente l’impossibilità parziale della prestazione – non è escluso dalle norme speciali emanate dal legislatore in costanza dell’emergenza sanitaria e volte a tutelare i soggetti pregiudicati dai provvedimenti restrittivi adottati dalle autorità.
Sulla base dei principi sopra richiamati il Tribunale ha concesso al conduttore una riduzione del canone di locazione per il periodo di lockdown nella misura del 70% di quanto contrattualmente stabilito, tenuto conto della considerevole e rilevante incidenza dei provvedimenti restrittivi sulla vocazione produttiva del bene locato dedotta nel regolamento contrattuale.
In relazione al più ampio periodo di squilibrio contrattuale intervenuto durante il periodo pandemico – ove l’esercizio è tuttavia rimasto aperto al pubblico – parte conduttrice chiedeva un intervento integrativo e modificativo del corrispettivo contrattuale per mano del Giudice, tenuto conto dell’obbligo non assolto dal locatore di rinegoziare il canone, quale conseguenza del dovere di dare esecuzione secondo buona fede al contratto (art. 1374 e 1375 c.c.) nonché in ragione delle limitazioni al godimento dell’immobile conseguite all’adozione delle misure restrittive dettate dalle Linee Guida e dai Protocolli imposti dai DPCM susseguitisi nel tempo.
A tal riguardo il Tribunale, dato atto che i “principi richiamati dalla società conduttrice e dalla giurisprudenza di merito citata sono senz’altro condivisibili”, ha rilevato che l’obbligo di rinegoziare il contratto secondo buona fede “non si identifica con […] quello di stipulare un nuovo accordo o di modificare quello esistente”, ma con “l’obbligo di tentare la rinegoziazione del contratto e di preservare integre le ragioni dell’altra parte durante tutto il corso del rapporto, senza trasmodare in un obbligo di sacrificio della libertà negoziale”.
Da ciò deriva, secondo il Tribunale, che “contro il diniego di instaurare trattative per rinegoziare il contratto secondo buona fede è anche ipotizzabile una reazione risarcitoria della parte lesa. Ma non paiono percorribili – in difetto di specifiche previsioni normative – interventi tesi a conculcare la libertà negoziale della controparte” scegliendo dunque di non prendere posizione, quantomeno in sede di cognizione sommaria, sulla richiesta di riduzione del canone avanzata da parte conduttrice nello specifico periodo.
Fermo quanto precede, l’Ordinanza adottata dal Tribunale di Torino merita un ulteriore rilievo: con riferimento al periodo di squilibrio, infatti, il Tribunale ha rilevato che “la riduzione del canone non è fra le misure contemplate dalla legislazione emergenziale” non avendo il legislatore escluso la doverosità della prestazione dedotta in contratto “tranne che in una ipotesi specifica e peculiare” ossia la previsione di cui all’art. 216 del Decreto Rilancio che prevede un peculiare caso di riduzione del canone dal mese di marzo al mese di luglio, dettata esclusivamente “per un ambito settoriale (impianti sportivi e palestre) connotato da sue peculiarità (fra cui la completa e generalizzata chiusura per un periodo prolungato ben oltre il generale lockdown)”.
Tale argomentazione si pone invero in contrasto con quanto recentemente affermato dal Tribunale di Milano con riferimento al medesimo articolo 216 del Decreto Rilancio, secondo cui “Una interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione ne consente l’applicazione analogica ai rapporti di locazione aventi ad oggetto immobili destinati allo svolgimento della generalità delle attività commerciali, industriali e professionali sospese per factum principis, apparendo essa altrimenti irragionevole sotto il profilo della disparità di trattamento di situazioni uguali o analoghe” (Sentenza n. 4355/2021 – Tribunale di Milano).
Preme a tal proposito rilevare che – contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di Torino – dal 25 maggio 2020 sino al 31 luglio 2020, i DPCM susseguitisi nel tempo non hanno previsto la generale sospensione delle attività sportive all’interno di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati ma lo svolgimento delle medesime in conformità alle Linee Guida e ai Protocolli, analogamente a quanto avvenuto per le attività commerciali, sicché un trattamento difforme non parrebbe giustificato.
Altra considerazione critica può rinvenirsi nella mancata considerazione, durante tutto il periodo di squilibrio, delle pur consistenti menomazioni nel godimento dell’immobile locato dovute al rispetto delle Linee Guida imposte dai DPCM che imponevano – e stanno imponendo – una riduzione degli accessi all’esercizio e misure di distanziamento per tutto il corso della loro vigenza.
Dunque, nonostante le non condivisibili argomentazioni sopra esposte con riferimento all’art. 216 del Decreto Rilancio, la pronuncia del Tribunale di Torino si pone come unica nell’attuale panorama giurisprudenziale attualmente edito per due ordini di ragioni e, segnatamente, in ragione della rilevante entità della riduzione riconosciuta al conduttore durante il periodo di lockdown (pari al 70 % di riduzione del canone contrattuale), nonché in ragione dell’applicazione dei principi di diritto richiamati anche per i periodi interessati dalle cosiddette “zone rosse” – imposte dalle autorità tra l’autunno del 2020 e la primavera del 2021 – ove il godimento dell’immobile è stato limitato e ridotto, proiettandosi dunque verso un orizzonte temporale ben più ampio del primo lockdown conseguente all’emergenza insorta nel marzo del 2020.
In conclusione, il panorama giurisprudenziale rimane tutt’ora frammentario e variegato ma indubbiamente la citata pronuncia può fornire un rilevante apporto e costituire una solida base per orientare gli operatori del mondo retail e i giuristi che si interfacciano con le problematiche relative alla spettanza del canone relativo alle locazioni commerciali in costanza della crisi pandemica.