Nessun luogo di lavoro è troppo lontano per la responsabilità del datore di lavoro
Fino a dove deve spingersi l’occhio vigile del datore di lavoro ai sensi della normativa in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro?
Una recente pronuncia della Suprema Corte (n. 35510/2021) ha affermato che la responsabilità del datore di lavoro italiano non è limitata ai luoghi di lavoro situati in Italia.
La Sentenza in commento è stata resa dagli ermellini all’esito di un procedimento chiamato ad accertare la responsabilità penale del soggetto responsabile della sicurezza sul luogo di lavoro, nel caso specifico un cantiere, a seguito della morte di un operaio.
Nella fattispecie, gli imputati nel processo penale e ricorrenti in cassazione erano i legali rappresentati delle società, tutte italiane, che ricoprivano il ruolo di committente, appaltatrice e sub-appaltatrice per la costruzione, congiuntamente con altre società cinesi, di una nave, all’interno di un cantiere cinese situato al largo della costa indiana.
Nel corso delle operazioni di costruzione, uno degli operai, sfornito dei necessari presidi antinfortunistici o quantomeno della necessaria formazione, nell’utilizzare una scala a pioli priva di gabbia, aveva perso l’equilibrio ed era rovinato a terra, decedendo poco dopo.
Ora, volendo prescindere dalle considerazioni relative alla fattispecie concreta, la Corte di Cassazione ha colto l’occasione per esprimere un principio generale che caratterizza la giurisdizione penale italiana, specificando come la stessa intervenga ogni qual volta si sia realizzata anche solo una parte della condotta penalmente rilevante in Italia.
Nel caso di specie, ai tre imputati era stata contestata la condotta di mancata formazione ed informazione del lavoratore, obbligo al quale i datori di lavoro avrebbero dovuto adempiere ben prima dell’inizio dell’attività di cantiere e, dunque, quando si trovava ancora in territorio italiano, solo così, afferma la Corte, sarebbe stato possibile prevenire qualsiasi rischio di infortunio.
Specifica infatti la Suprema Corte che “il datore di lavoro che incarica un dipendente di svolgere determinate attività lavorative all’esterno della propria azienda, ha l’obbligo di verificare la sicurezza del luogo di lavoro, di valutare i rischi presenti, di fornire al dipendente i necessari ed idonei strumenti di protezione individuale, di formare ed informare adeguatamente lo stesso sui rischi specifici dell’attività lavorativa in quel luogo (…) nonché di vigilare sull’osservanza delle disposizioni aziendali in materia di uso dei dispositivi di sicurezza”, a nulla rilevando la circostanza che l’“esterno dell’azienda” non si trovi sul territorio nazionale.
Sulla base di quanto argomentato dalla Suprema Corte, dunque, deriva che il sistema di prevenzione direttamente collegato alla normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro sia necessariamente da estendersi oltre i confini territoriali nazionali, con diretta applicazione del medesimo ordinamento preventivo degli infortuni anche ai lavoratori dipendenti che operano all’estero.
Se, infatti, rientra nella giurisdizione del giudice penale italiano il reato colposo commesso all’estero, come afferma la decisione in commento, va da sé che lo stesso ampliamento dovrà operarsi anche per la responsabilità amministrativa dell’ente, nell’ipotesi in cui sia individuato un interesse e vantaggio, con carenza organizzativa.
Diretta conseguenza di quanto precede è che, per un verso, l’ente italiano è chiamato ad estendere le proprie procedure di gestione della sicurezza sui luoghi di lavoro anche in territorio straniero qualora voglia evitare o ridurre la propria responsabilità ex d.lgs 231/2001.
Da tale prima diretta conseguenza delle parole della Sentenza n. 35510/2021, si giunge tuttavia alla problematica, di non facile soluzione, dell’applicazione della normativa italiana in un territorio straniero e del possibile conflitto tra normative differenti ovvero di quale normativa applicare qualora le normative concorrenti prevedano differenti gradi di severità nell’applicazione delle misure.
Pur sorvolando sulle ipotesi di lavoratori che operino all’interno dei confini dell’Unione Europea, dove la situazione è chiaramente di più facile gestione, rimane il problema dei lavoratori che operano nei Paesi extraeuropei.
Con riferimento a tali Paesi, alla luce della sentenza della Cassazione che ha ampliato le responsabilità del datore di lavoro, si ritiene che la miglior soluzione adottabile ai fini dei DLGS 231/2001 e 81/2008 sia quella maggiormente prudenziale, applicando dunque la maggior tutela possibile per il lavoratore: ciò significa che laddove il paese “ospitante” avrà standard di sicurezza inferiori a quelli italiani, l’ente italiano sarà chiamato a verificare la corretta applicazione dei propri standard, benché in territorio estero.
Laddove invece gli standard di prevenzione risultino assimilabili, ancorché raggiunti con presidi in concreto differenti, una possibile soluzione potrebbe essere quella dell’applicazione delle misure previste nel Paese in cui si trova il luogo di lavoro.
Rimane in ogni caso inteso che la verifica della correttezza e pedissequa applicazione delle tecniche di prevenzione previste dovrà essere effettuata caso per caso dal datore di lavoro, con gli opportuni supporti tecnici. Solo mediante lo svolgimento di tale attività il datore di lavoro potrà risultare indenne dalla responsabilità penale al medesimo ascritta in caso di realizzazione di uno dei reati ricompresi nel d.lgs. 231/2001.