I contratti di vendita di merce o macchinari “business to business” sono molto spesso conclusi attraverso l’accettazione di un ordine o di un preventivo, che contiene le clausole considerate più importanti (specifiche tecniche, termini di consegna, prezzo e modalità di pagamento), senza che venga redatto un vero e proprio contratto. Di conseguenza, per tutto quanto non è indicato nell’ordine o nel preventivo si applicano le disposizioni di legge. E ciò a volte può riservare sorprese.
Alle vendite tra imprese che hanno sede in Italia si applicano le regole del codice civile, il quale prevede a carico del compratore l’obbligo di denunciare i c.d. vizi (cioè i difetti che rendono la merce inidonea all’uso o ne diminuiscono il valore) entro 8 giorni dalla scoperta. Il termine è stringente, ma è importante ricordare che esso decorre non dal semplice sospetto di un vizio, ma dal momento in cui il compratore ne ha certezza, ad esempio attraverso una perizia tecnica.
Nelle vendite B2B in presenza di vizi della merce il compratore può richiedere una riduzione del prezzo o, nei casi più gravi, la risoluzione del contratto (che comporta la restituzione della merce e il rimborso del prezzo), oltre al risarcimento del danno subito. Il compratore non può invece pretendere la riparazione o la sostituzione della merce difettosa: tale rimedio è possibile quindi solo in caso di accordo delle parti.
Le azioni del compratore sono soggette al breve termine di prescrizione di un anno dalla consegna, che tuttavia può essere interrotto con una semplice dichiarazione di voler esercitare la garanzia.
Se però il venditore, a fronte di una denuncia di vizi, si impegna a porvi rimedio, ad esempio effettuando delle riparazioni, assume un obbligo nuovo, diverso dalle garanzie previste dalla legge (che restano pur sempre valide) e qualora le riparazioni non siano efficaci il compratore può agire entro il termine ordinario di prescrizione decennale.
Infine, è importante tenere presente che la prova dell’esistenza dei vizi spetta al compratore, mentre il venditore per sottrarsi alla richiesta di risarcimento del danno deve provare non solo di avere ignorato i difetti (ad esempio perché erano contenuti in componenti o materie prime acquistate da terzi), ma altresì la propria mancanza di colpa, prova certamente non facile da fornire.
Quanto sopra si applica quando compratore e venditore hanno sede in Italia. Se invece una delle due parti ha sede in un diverso Paese, in molti casi (e anche se il contratto è soggetto al diritto italiano) sarà applicabile la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci, che contiene una disciplina molto diversa da quella del nostro codice.
In primo luogo, la Convenzione prevede l’obbligo del compratore di esaminare la merce non appena possibile.
La denuncia dei difetti deve invece avvenire, anziché entro 8 giorni, entro un termine ragionevole e comunque entro 2 anni dalla consegna (e questo crea evidentemente dei problemi di coordinamento con la prescrizione annuale prevista dal diritto italiano).
Infine, la Convenzione prevede espressamente che il compratore possa richiedere, oltre alla riduzione del prezzo, alla risoluzione del contratto ed al risarcimento del danno, la riparazione o la sostituzione della merce.
E’ quindi evidente che, in mancanza di un contratto di vendita che regoli tutti i diritti e gli obblighi reciproci, le parti si possono trovare esposte a situazioni di forte incertezza.