Il tema della prova del maggior danno da occupazione dell’immobile sine titulo è sempre stato estremamente dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza. Finalmente, con due pronunce gemelle, è intervenuta la Suprema Corte a fare chiarezza sulla prova necessaria per la richiesta di tale voce di danno.
Come noto agli operatori del settore immobiliare, la questione del riconoscimento del danno per occupazione abusiva del bene immobile ha da sempre rappresentato un tema controverso.
Se, infatti, l’occupazione di un bene immobile al termine del contratto di locazione (cosiddetta occupazione sine titulo) garantisce al proprietario del bene, ex art. 1591 c.c., il diritto di percepire la cosiddetta indennità di occupazione pari al canone pattuito, per anni si è discusso se detta occupazione abusiva fosse di per sé sufficiente a costituire la base per la risarcibilità anche del maggior danno subito dal locatore.
In questo panorama sono intervenute due recenti pronunce delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. Civ. SS.UU. n. 33645/2022 e SS.UU. n. 33659/2022), le quali si sono proposte l’obiettivo di porre fine ai dubbi degli operatori, specialmente con riferimento alla questione se il danno di cui si discute sia da considerarsi in re ipsa (vale a dire, esistente semplicemente in ragione dell’occupazione dell’immobile) o se lo stesso debba essere ulteriormente provato dal soggetto che ne richiede il risarcimento (fornendo, dunque, prove ulteriori del danno effettivamente subito).
In un panorama di incertezza e contrasti sono intervenute le Sezioni Unite, le quali si sono sostanzialmente allineate all’orientamento della Seconda Sezione Civile, sebbene con alcuni vincoli.
In particolare, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno chiarito che, in ipotesi di occupazione sine titulo, con riferimento al danno emergente, il fondamento del danno si rinviene nella perdita della possibilità di esercizio del diritto di godimento del bene immobile da parte del proprietario. Da ciò deriva che, una volta che il proprietario abbia dedotto la perdita della concreta possibilità di esercitare il diritto di godimento, il danno emergente è presunto e, se non provato nel suo specifico ammontare, può essere liquidato in via equitativa dal giudice, anche adottando come parametro il canone di locazione di mercato.
Con riferimento invece al risarcimento del danno da lucro cessante, esso non è sottratto all’onere di specifica allegazione. In questo caso, dunque, il proprietario sarà tenuto a provare la mancata possibilità di locare o vendere l’immobile ad un prezzo superiore a quello di mercato.
In conclusione, alla luce di principi chiarificatori esposti dalla Suprema Corte, non rimane che sperare che gli stessi abbiano un effetto deflattivo del contenzioso in materia, particolarmente significativo negli ultimi anni.