Gli affitti brevi turistici stanno trasformando il volto delle nostre città: da opportunità economica a fenomeno urbano con impatti profondi e spesso controversi. Mentre le piattaforme digitali ne favoriscono la diffusione, cresce il dibattito su vivibilità, sostenibilità e diritti degli abitanti. In Italia, molte amministrazioni locali stanno reagendo con misure sempre più stringenti. Quali scenari si aprono e quale ruolo può (e dovrebbe) giocare il legislatore nazionale?
Facciamo chiarezza: che cosa si intende per affitto turistico breve?
Per affitto turistico breve si intende il contratto di locazione concluso tra privati, per un periodo solitamente inferiore ai trenta giorni, con il quale il proprietario mette a disposizione un immobile per finalità esclusivamente di soggiorno turistico, contratto che in base all’art. 53 del D.lgs. 79/2011 (c.d. Codice del Turismo), è regolato dalle norme del codice civile in tema di locazione.
Gli affitti brevi in Italia sono diventati un fenomeno sempre più diffuso, soprattutto nelle grandi città e nelle aree turistiche. Un trend particolarmente influenzato dalla crescente domanda di alloggi alternativi rispetto agli hotel tradizionali e agevolato dalla diffusione delle piattaforme di prenotazione on-line. (es. Airbnb, Booking).
Che effetti ha determinato la crescente diffusione degli affitti turistici brevi?
Il fenomeno, soprattutto nelle città d’arte italiane, ha innescato profondi cambiamenti nel tessuto urbano, in particolare nei centri storici: sebbene rappresenti un’importante occasione economica per i proprietari, ha sollevato preoccupazioni crescenti, non solo in termini di sostenibilità abitativa e aumento dei canoni di locazione, ma anche per le ricadute sulla vivibilità complessiva dei luoghi.
È infatti stato spesso registrato un progressivo svuotamento residenziale, con la conseguente perdita delle funzioni di prossimità e l’insorgere di problemi legati all’aumento del rumore, alla carenza di manutenzione degli spazi comuni e un generale senso di precarietà e instabilità dovuto all’alternanza continua degli occupanti.
Nei contesti più colpiti i residenti si trovano a vivere in ambienti sempre meno coesi e riconoscibili, i centri storici rischiano così di diventare “vetrine” destinate esclusivamente al consumo turistico.
Per contrastare questi effetti, alcune città italiane sono intervenute adottando misure tese a limitare o, comunque, contenere il fenomeno. Quali e come?
La città di Venezia, al fine di incrementare la disponibilità di alloggi a lungo termine nella Città Storica, sulla base del D.L. n. 50/2022, ha approvato una variante al proprio PRG e uno specifico regolamento per limitare lo sfruttamento delle abitazioni per affitti turistici brevi, imponendo un limite al periodo di affitto di 120 giorni all’anno anche non consecutivi, l’obbligo di iscrizione in un apposito registro e la previsione di ulteriori obblighi nella gestione dei turisti che se non rispettati determineranno la cancellazione dal registro stesso.
Similmente Roma Capitale, con la variante al PRG adottata lo scorso dicembre 2024 ed in fase di definitiva approvazione, ha introdotto una disciplina tesa a vietare nuovi affitti brevi nel centro storico della città.
Anche il Comune di Firenze è intervenuto e, dopo un primo tentativo nel 2024 non andato a buon fine, lo scorso 7 aprile 2025 ha approvato una nuova variante al proprio strumento urbanistico (Piano Operativo) intervenendo sulla disciplina delle destinazioni d’uso, al fine di individuare una specifica sub-categoria urbanistica relativa alla residenza temporanea che comprende gli affitti brevi, vietandone l’insediamento in tutto il Centro Storico cittadino.
Tra l’altro, l’intervento del Comune di Firenze giunge pochi mesi dopo l’entrata in vigore della nuova legge della Regione Toscana in materia di turismo (L.R. n. 61/2024), con la quale è stato prevista la possibilità per i Comuni toscani a più alta densità turistica di adottare specifici provvedimenti per limitare gli affitti turistici brevi in determinate zone del proprio territorio, compresa l’introduzione dell’obbligo di una specifica autorizzazione amministrativa di durata quinquennale per poter concludere questa tipologia di affitti, con la possibile previsione di un contingentamento delle autorizzazioni rilasciabili.
E all’estero?
L’introduzione di limitazioni e divieti agli affitti turistici brevi non è avvenuta solo nel nostro Paese; infatti, anche a Barcellona, ad esempio, il Comune ha introdotto una normativa particolarmente restrittiva per la concessione di nuove licenze di affitto turistico, mentre la città di Amsterdam ha imposto un tetto massimo di giorni (30 all’anno) per gli affitti brevi non professionali, vietandoli del tutto in alcune zone centrali.
Quali sono quindi le prospettive future?
Lo scenario è tuttora di evoluzione: è ragionevole attendersi che anche altre città e Regioni implementino proprie disposizioni in materia, come ad esempio Regione Lombardia che con le modifiche del dicembre 2024 alla propria normativa in materia di turismo ha previsto l’adozione di uno specifico regolamento in materia di affitti turistici brevi.
In questo quadro normativo che si presenta necessariamente disomogeneo, l’intervento del Legislatore nazionale sarebbe auspicabile, quantomeno per l’individuazione di una linea di indirizzo che chiarisca il campo di azione delle Amministrazioni locali sul tema, considerata anche la natura degli interessi in gioco, di sicuro rilievo costituzionale, ossia la tutela della libera iniziativa economica ed il libero godimento della proprietà privata, da un lato, la garanzia dell’utilità sociale della stessa oltre alla tutela del patrimonio storico ed artistico del nostro Paese, dall’altro.