In materia di concorrenza sleale, la Corte di Cassazione ha di recente stabilito un principio importante, affermando che il rapporto di concorrenza tra competitor che svolgono la medesima attività economica sussiste nel momento in cui entrambi si rivolgono alla stessa clientela, e ciò indipendentemente dal canale di vendita – negozio fisico o online – che viene utilizzato.

Con l’ordinanza n. 626 del 10 gennaio 2025, la Corte di Cassazione ha affermato un principio centrale nella disciplina della concorrenza sleale, chiarendo che il rapporto concorrenziale tra due operatori che offrono prodotti affini sussiste ogniqualvolta essi si rivolgano alla stessa clientela, a prescindere dal canale di vendita, sia esso fisico o online, da questi utilizzato.

Il nostro ordinamento definisce atti di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 c.c. quegli atti contrari alla correttezza professionale,denigratori o scorretti nei confronti degli altri concorrenti, che sono così idonei a danneggiare l’attività di un competitor.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, una società attiva nel retail di elettronica aveva trasmesso delle informazioni riservate riguardanti i prezzi e gli sconti futuri da applicare nei punti vendita fisici a retailer operanti esclusivamente online, al fine di consentire la commercializzazione anticipata degli stessi prodotti sul canale digitale. In questo modo, le offerte online risultavano più vantaggiose e disponibili in anticipo rispetto alle promozioni ufficiali nei negozi fisici, riuscendo così ad intercettare la clientela prima dell’avvio delle campagne promozionali nei punti di vendita fisici stessi.

Il Tribunale aveva inizialmente riconosciuto la condotta come concorrenza sleale nei confronti del retailer fisico. La Corte d’Appello, al contrario, aveva escluso l’esistenza di un rapporto concorrenziale, affermando che tra negozi fisici e punti vendita online non vi sarebbe una clientela comune, elemento considerato essenziale per configurare la concorrenza.

La Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che la comunanza di clientela rende i soggetti direttamente concorrenti indipendentemente dal mezzo utilizzato per raggiungere il mercato e che l’anticipo sleale delle offerte, fondato sull’accesso privilegiato a informazioni riservate, configura certamente un illecito concorrenziale.

Nella pronuncia in esame la Cassazione ha ribadito che per integrare un illecito concorrenziale è sufficiente che la condotta sia potenzialmente pregiudizievole per l’equilibrio concorrenziale tra imprese attive nello stesso mercato.

È stato così chiarito che i criteri da considerare per valutare l’illiceità anticoncorrenziale della condotta sono:

  1. la comunanza di clientela, per cui ciò che conta è la sovrapposizione dei bisogni soddisfatti, non il mezzo utilizzato per raggiungere i consumatori;
  2. il danno potenziale, e quindi l’illiceità sussiste anche in assenza di effetti economici immediati, se la condotta è idonea a deviare clientela in modo scorretto;
  3. l’affinità di prodotto, per cui è sufficiente che le offerte siano in concorrenza funzionale, anche se differenziate per modalità di vendita.

La decisione conferma che la concorrenza sleale si misura dunque sul contenuto economico dell’offerta e sulla clientela servita, non sulla forma del canale di vendita.

Con questa decisione, troviamo un’interpretazione del diritto della concorrenza da parte della Cassazione che si adegua alle trasformazioni del mercato digitale. In un contesto in cui i confini tra fisico e online sono sempre più sfumati, questa pronuncia offre uno strumento di tutela più efficace per gli imprenditori, riconoscendo che la concorrenza non si misura nei confini statici del canale distributivo, ma nell’obiettivo comune di soddisfare la domanda di mercato.